Con l’alleato russo cadrà mai Assad?
Sono ormai passati più di 16 mesi di previsioni, analisi di inevitabile crollo del regime siriano; si è parlato di decine di generali del suo esercito disertati in Turchia; gli sono state imposte sanzioni da parte dell’Occidente, lanciate grosse minacce da parte dell’ex alleato turco. In una riunione segreta al massimo livello dei suoi responsabili militari e della sicurezza, tre degli uomini chiave del regime di Assad, incluso il suo Ministro della Difesa, sono morti in un attentato; ma il sangue continua a scorrere mente la rivolta araba si è trasformata in guerra civile lacerando lo stato più nazionale, solido, ideologicamente laico del Medio Oriente. Il presidente Assad, simbolo del regime tuttavia resta alla guida di questa mattanza che non sembra volta a finire. Perché?
Molte sono le spiegazioni date dai politici e dagli specialisti: debolezza e lotta intestina di una opposizione islamica che non riesce a nascondere le sue speranze di vendetta contro le minoranze che sostengono il regime, coi cristiani in prima linea; paura delle minoranze etniche religiose – cristiani, drusi, curdi- che il crollo di un regime fondato sulla minoranza (eretico islamica) alawita (vicina alla tradizione shiita) si trasformi in una realtà ideologica più crudele della cleptocrazia pan araba imborghesita degli alawiti da più di 60 anni al potere; sostegno economico militare dell’Iran interessato a mantenere in piedi un regime che rappresenta per lui l’anello più importante nella sua catena di influenza sul Libano (gli Hizbollah) contro Israele e oggi contro la Turchia. Infine ultima ma attualmente più importante il sostegno militare, politico diplomatico della Russia che col suo veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU su ogni mozione punitiva dell’Occidente contro la Siria le garantisce la protezione esterna.
Per Mosca decisa a riconquistare il ruolo di grande potenza in genere e di superpotenza nel Medio Oriente, la crisi siriana, all’inizio vista come una questione essenzialmente di prestigio, si è trasformata nel corso di questa insoluta guerra civile in un’area di neo guerra fredda. Questo significa non solo contrastare tutte le iniziative occidentali ma preparare il terreno per un dopo crisi in cui ogni soluzione dovrebbe dipendere dall’assenso russo.
Al Cremlino importa oggi poco la persona di Assad dal momento che si è dimostrato incapace di controllare la rivolta al suo inizio. Anche se il presidente fosse eliminato da un attentato il controllo russo sull’apparato della sicurezza in Siria è sufficientemente esteso da permettere a Mosca di dettare le condizione di un riassetto politico futuro. Non è chiaro chi la Russia potrebbe sostenere in un dopo Assad ma è abbastanza chiaro chi non sosterrà: né il potere islamico né un potere rifondato solo sul predominio della minoranza alawita sulle altre.
Due le possibili soluzioni. La prima quella della spartizione del Paese con zone autonome. La storia naturalmente non si ripete ma una eventuale ristrutturazione dell’attuale regime nazionalista unitario pan-arano (baath) ricorda il fallito tentativo della Francia dopo il primo dopo guerra, di contrastare il nazionalismo arabo con la divisione della Siria e del Libano mandatario (della Lega delle Nazioni) in “stati” o regioni amministrative fondate sulle “lealtà” etnico religiose locali: alawiti, drusi, cristiani ortodossi e maroniti. Più semplice anche se non meno facile nella “palude” politica araba contemporanea potrebbe essere un intervento “pacificatore” russo in cambio del riconoscimento internazionale del ruolo privilegiato moscovita in funzione anti americana nel Medio orientali. Ruolo che oltre ad essere localmente anti islamico, sarebbe soprattutto anti NATO collaborativo con l’Iran e di avvertimento tanto verso la Turchia che (per tutt’altre ragioni che esulano da questo testo) verso Israele.