Nel circo pentastellato, tutto è un gioco di parole. E le facce cambiano nel giro di 24 ore. Ne sa qualcosa Luigi Di Maio. Fino a ieri si ergeva a paladino dei principi M5s (contrari però alla presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione) e scaricava la Raggi con queste gelide parole: “Per quanto riguarda il sindaco di Roma, io non conosco l’esito del processo, ma il nostro codice di comportamento: parla chiaro e lo conoscete”.

Oggi invece il grillino gongola e rinnega se stesso: “Virginia Raggi è stata assolta. Due anni di attacchi alla sindaca più massacrata di Italia. Forza Virginia. Contento di averti sempre difesa e di aver sempre creduto in te”.

dimaiOltre all’ipocrisia, non c’è cosa peggiore del giacobinismo e della caccia al giornalista. Quando conviene, però. Perché i giornalisti sono delle puttane, dei pennivendoli, degli infimi sciacalli, dei cani da riporto sempre o non lo sono mai. Non erano santi o demoni quanto attaccavano Marino, il Pd e gli altri partiti (e sulla base di quelle inchieste i grillini urlavano “Onestà”) e non sono santi o demoni se attaccano il Movimento 5 Stelle. Vi sembra normale che un vicepremier cinque minuti dopo l’assoluzione della sua compagna di partito attacchi così duramente un’intera categoria arrivando addirittura a minacciare leggi ad hoc per l’editoria pura? È normale che un ex parlamentare come Di Battista usi parole volgari come “puttane” o “pennivendoli” come se fosse allo stadio a urlare contro la squadra avversaria (dimenticando che il reportage in Sud America gli viene foraggiato e pubblicato da un giornale, il Fatto quotidiano, alla faccia dello schifo).

Se ne facciano una ragione, i giornalisti non sono cambiati da quando loro sono scesi in politica. E non sarà un Maalox a fermarli.

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