Perchè dobbiamo difendere la nazione
Pubblichiamo un estratto del dossier “L’importanza dello stato nazionale. Il caso Catalogna” scaricabile gratuitamente a questo link con il parere di alcuni esperti e professori universitari.
La questione catalana non ha avuto soltanto ricadute giuridiche e politiche ma ha fatto discutere il mondo culturale, giornalistico e accademico facendo scaturite riflessioni filosofiche sul concetto di Nazione, autonomia e indipendenza. Per Corrado Ocone — filosofo, liberale e Presidente del Comitato Scientifico di Nazione Futura — «i valori universali che sono nel Dna dell’Occidente (libertà, uguaglianza, giustizia, amore per il prossimo, ecc.) assumono un senso, e si “realizzano”, solo se si “incarnano”, cioè si concretizzano in strutture particolari e specifiche. In una parola, in una comunità. Questo ruolo di mediazione è stato in tutta l’epoca moderna magnificamente svolto dalla nazione, intesa come comunità storico-ideale di appartenenza, tanto che sulla nazione si sono generalmente modellati gli Stati, cioè gli artifici tecnici entro cui si è cimentata la politica». In merito al caso catalano, sottolinea la necessità di un maggiore pragmatismo per risolvere la contrapposizione venutasi a creare tra Spagna e Catalogna, poiché «se ne è fatta una battaglia simbolica». Eugenio Capozzi, professore ordinario di storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa” e autore di vari libri tra cui L’autodistruzione dell’Occidente, ha una posizione molto favorevole al concetto di Nazione e sostiene che «le istituzioni liberali e democratiche hanno trovato soltanto negli Stati nazionali l’ambiente adatto per strutturarsi. Come diceva Edmund Burke, la società è un contratto tra i morti, i viventi e i non ancora nati. Sussiste solo nella continuità tra le generazioni. La nazione è il modo più riuscito dell’Occidente moderno per assicurare tale continuità». A suo giudizio il migliore modello per gli stati nazionali è quello federale e, parlando della Catalogna, afferma:
Gli Stati nazionali, affinché siano l’ambiente solido e stabile per istituzioni di libertà, non possono essere fondati semplicemente su criteri di uniformità etnica o linguistica. Devono avere dietro una storia istituzionale e costituzionale. Altrimenti il rischio è quello di moltiplicare entità nazionali fondate soltanto su un criterio ipersoggettivo di autodeterminazione, con il rischio concreto di moltiplicare all’infinito i conflitti e di ridurre le libertà, anziché rafforzarle. Nel caso della Catalogna, la Spagna è una nazione consolidata da secoli di storia. Come tutte le nazioni, è composta di molte “nazioni”, che si sono conglomerate in essa, e mantengono senza dubbio una identità culturale, ma non per questo possono considerarsi la sede adeguata di Stati nazionali. Le differenze etniche, culturali, linguistiche, religiose all’interno di uno Stato nazionale storicamente consolidato sono un fondamento favorevole per istituzioni federali e regionalistiche, ma se Spagna, Francia, Regno Unito e altri Stati si scindessero in una miriade di Stati micronazionali indipendenti ciò non aiuterebbe ad ampliare e consolidare le libertà, ma anzi costituirebbe per esse un grande pericolo.
Capozzi, riferendosi ai fatti del 2017, aggiunge che il modo migliore per far prevalere le ragioni catalane «è lottare per un ordinamento di reale autonomia politica e finanziaria. L’eventuale creazione di un microstato catalano moltiplicherebbe i problemi, e creerebbe le condizioni per il rafforzamento di pulsioni autoritarie e isolazioniste». Dello stesso parere Eugenio Di Rienzo, già professore ordinario di Storia moderna presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma, secondo cui «Nazione è sinonimo di confine, militare, etnico, religioso, culturale, sanitario, e quindi di difesa di una comunità come la storia ci ha insegnato e come l’attualità ci mostra ogni giorno. Non so, però, se le Nazioni riusciranno a sopravvivere o se invece si dissolveranno in un indistinto melting pot, soprattutto a causa di un fenomeno migratorio, né controllato né arginato, che colpisce sia l’Europa sia gli Stati Uniti, dove tra breve i Latinos supereranno per numero la popolazione anglosassone in città come Miami e Los Angeles, senza neppure essersi completamente integrati nella loro nuova patria». In tema di autonomia e indipendenza, è intervenuto anche Giampiero Cannella, già parlamentare, esperto di geopolitica ed autore di vari libri, che commenta:
L’autonomia dei territori è una scelta pattizia che lega politicamente due contraenti, ma autonomia non significa separatismo. La Catalogna è Spagna e la scelta di dichiarare unilateralmente l’indipendenza da Madrid è un errore che delegittima anche le fisiologiche istanze autonomiste. Bene ha fatto il governo centrale spagnolo a reagire duramente dopo la proclamazione di indipendenza della Catalogna. Un conto è l’autonomia politica e amministrativa di un territorio, un altro è la secessione di quel territorio. Una scelta che, al di là dei valori morali e spirituali che possiamo snocciolare, è antistorica perché oggi il mondo globalizzato si basa sul confronto politico ed economico tra giganti, siano essi continenti interi o superpotenze, non c’è più spazio per micro identità.
Cannella ribadisce l’importanza del concetto di nazione, meglio inteso come “una comunità di popolo che condivide un territorio, una tradizione, una storia, una lingua, una cultura e quindi dei principi di riferimento e dei valori comuni”:
In questo senso anche la visione e il destino di un popolo si compie all’interno del concetto di nazione. Essa è coscienza della Patria laddove l’identità diventa materia concreta, condivisione sociale e progetto futuro. Oggi, con la globalizzazione, il progresso tecnologico che annulla le distanze, avvicina i continenti e trasferisce dati in tempo reale in ogni parte del mondo, mantenere salde le identità nazionali è fondamentale per non essere travolti da un progresso economico e sociale svincolato dal dato umano che ha la sua massima espressione nelle comunità nazionali. Difendere le singole identità non vuol dire alimentare nazionalismi o particolarismi a detrimento del confronto tra diversi, ma al contrario, significa pensare a nuove forme di dialogo e convivenza civile che partono dal rispetto reciproco delle identità etnico- religiose e delle culture nazionali.
Un altro pericolo da non sottovalutare, dentro e fuori Europa, è quello che Alessandro Campi, politologo e professore all’Università degli Studi di Perugia, definisce “effetto imitativo” e che «si potrebbe determinare con effetti disgregatori che poi sarebbe difficile controllare»:
I processi di secessione — sostiene — si realizzano facilmente sulla carta, ma nella realtà della storia sono spesso tragicamente conflittuali. Pensiamo la caso della ex- Jugoslavia. Ovviamente possono anche esserci processi pacifici e concordati, come quello che ha portato alla nascita della Slovacchia e della Repubblica Ceca, ma il vero problema – più che le modalità attraverso cui si ottiene l’indipendenza (magari democraticamente, sulla base di un referendum) – riguarda gli effetti di un simile processo. Cosa ce ne facciamo di nuovi Stati sovrani – oggi la Catalogna, poi la Scozia, dopodomani la Vallonia, e poi chissà? Tra l’altro queste nuova entità nazional- statuali quale peso avrebbero all’interno della comunità internazionale? Aggiungo che discutibile è anche la motivazione (contingente e materialista, anche se rivestita ideologicamente da lotta per la libertà) che spesso muove queste richieste di indipendentismo: godersi in esclusiva la propria ricchezza, magari raggiunta di recente grazie alla scoperta di qualche giacimento petrolifero (è il caso della Scozia). È il secessionismo dei ricchi, come è stato definito, che nulla ha a che fare con la difesa delle proprie particolarità storico-culturali. La frammentazione delle sovranità nazionali, insomma, genera anarchia e debolezza politica. Al tempo stesso l’egoismo economico è una motivazione che, oltre a non aver alcun nobiltà, rischia di essere effimera: si vorrà essere indipendenti anche quando le cose andranno male?