L’acqua santa e i mammasantissima
Parafrasando Fantozzi verrebbe da dire «… e al terzo giorno la Chiesa si incazzò davvero». Sentite cosa dice l’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria, mons. Giuseppe Fiorini Morosini:«Ciò che la Chiesa rifiuta, con fermezza e categorica determinazione, è il gioco al massacro grave ed irresponsabile, che ha come obiettivo precipuo screditare la Chiesa e gettare ombre sul ministero difficilissimo di tanti nostri bravi parroci». Così, parlando di ‘ndrangheta nella relazione di apertura dei lavori del Convegno pastorale davanti a più di 750 delegati tra sacerdoti, diaconi e religiosi della comunità reggina il prelato ha voluto rispondere all’offensiva mediatico-giudiziaria che ha preso di mira il clero di Reggio, dalla storiaccia di don Nuccio Cannizzaro al casino infinito delle processioni.
«Abbiamo trascorso un anno in trincea – dice Morosini – giudizi e condanne senza sconti su uomini di Chiesa, o su fatti, preoccupanti, certo, se dimostrati, ma che rischiano di distogliere lo sguardo di tutti, rispetto ad altrettanti e ben più aberranti crimini. Perchè si pensa soltanto a caricare sulla Chiesa la responsabilità di false, quanto meno in buonissima parte, connivenze con ceppi malavitosi?». È la solita storia, come avevo scritto l’ultima volta e lo ribadisco. Da cattolico penso che contro la ‘ndrangheta la Chiesa reggina avrebbe potuto fare di più e che certi sacerdoti nei quartieri difficili della città di Reggio si muovano in una zona grigia né più e né meno di come fanno certi sbirri, solo che ai secondo (quasi) tutto è concesso. A me quello che dice Morosini piace, grazie a Dio, perché la pensa come me: «Vorrei costruire, con voi, una Chiesa profetica ma anche libera, che vinca la tentazione del fenomeno umorale della piazza, sia quando esso si dovesse muovere secondo sterili canoni quietisti o, peggio, di rassegnata connivenza col male, sia quando volesse farlo secondo canoni, altrettanto gravi, di giustizialismo vendicativo».
Chissà se al sedicente mancato ministro della Giustizia Nicola Gratteri sono fischiate le orecchie. Morosini non lo dice, ma la bacchettata sul giustizialismo vendicativo è destinata anche al coraggioso pm anti ‘ndrangheta, che della lotta alle cosche ha fatto una ragione di vita e che, come molti servitori onesti dello Stato, è convinto che proprio in questa zona grigia si nasconda l’elisir di lunga vita della mafia. Lo ha ribadito l’altro giorno, dopo l’operazione che ha riaperto quel vaso di Pandora chiamato Siderno, dove le famiglie Commisso e Aquino pretendevano una tangente tra l’1,5% e il 3% sulle opere pubbliche e dove chi voleva far politica doveva chiedere il permesso ai mammasantissima locali (che nel caso dell’ex presidente del consiglio comunale venne addirittura negato «poiché la cosca – scrivono i magistrati – aveva già individuato altri candidati da promuovere»). «La pericolosità sociale della zona grigia – dice Gratteri – è legata alla commistione sociale che ne deriva, con figli o figlie di riconosciuti e riconoscibili capi ‘ndrangheta che impalmano figli o figlie di altrettanto conosciuti esponenti della borghesia».
Un male difficile da estirpare, la ‘ndrangheta, che lui da ministro avrebbe combattuto con strumenti inediti, anzi per dirla con le parole di Gratteri «con idee rivoluzionarie» ma solo se «qualcuno» glielo avesse permesso. Già, perché da giorni il coraggioso magistrato continua a sparare contro «certe forze» che «non hanno voluto che io facessi il ministro». Chi sono questi poteri forti? «In genere – ha precisato Gratteri – sono abituato a dire tutto ciò che posso dimostrare. Ho delle mie idee ma se non le posso dimostrare sto zitto. Quello che posso dire è che un quarto d’ora prima che il presidente del Consiglio Matteo Renzi entrasse dal presidente della Repubblica, mi hanno telefonato dicendomi “lei è nell’elenco dei 16 ministri, come ministro alla Giustizia”. Poi non so cosa sia successo dentro».
E chissà se tra questi «poteri forti» che hanno impedito la scatata di Gratteri a via Arenula non ci sia anche la presunta Spectre politico-affaristico-massonico-‘ndranghetistica cui dà la caccia il pm Giuseppe Lombardo e che avrebbe nell’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola uno dei suoi punti di riferimento. Nell’affaire tra Montecarlo e Dubai che ruota intorno alla latitanza di Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per i suoi contatti con i boss legati al suo ex figlioccio politico Giuseppe Aquila, potevano mancare i servizi segreti e e i depistaggi? No.
È di oggi la notizia che Vincenzo Speziali, l’imprenditore calabrese residente a Beirut indagato nell’inchiesta Scajola, ha accusato di «depistaggio» l’ex colonnello dei servizi segreti Paolo Costantini, reo di aver riferito di aver saputo che lo stesso Speziali si era recato all’ambasciata italiana ad Abu Dhabi per fare pressioni a beneficio di Matacena. Davanti alla commissione Antimafia lo 007 Alberto Manenti, direttore dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) aveva risposto a una serie di domande sul caso, ed era emerso che lo stesso Costantini, ex capo centro del servizio segreto esterno negli Emirati, ha lasciato i servizi, non si sa se di sua volontà o se «sollecitato». Costantini mente? È quello che sostiene Speziali, per cui le accuse dello 007 sono «palesemente false e destituite di fondamento. Questo militare coinvolge i servizi di sicurezza nelle sue farneticazioni mentre invece alla nostra Intelligence va dato il massimo rispetto», conclude Speziali.
Insomma, i boss e gli 007 deviati a spasso sul Corso Garibaldi decidono i destini di Reggio. E i pm danno la caccia ai preti…