Il processo Breakfast che a Reggio Calabria vede alla sbarra l’ex ministro Claudio Scajola non sarà un giudizio “normale”. Il pm antimafia Giuseppe Lombardo è convinto che il politico azzurro sia uno dei terminali della Spectre affaristico-massonica che avrebbe il compito di aiutare i politici in odore di mafia a sfuggire dalla giustizia italiana. La Procura è convinta di avere in mano prove granitiche, i giudici che finora si sono occupati dell’inchiesta e che hanno dato l’ok al processo sono convinti che Scajola sia effettivamente intervenuto per aiutare l’ex collega parlamentare a non tornare in Italia per scontare la pena (il reato si chiama “procurata inosservanza della pena”) , e forse Scajola – se è vero che si è speso con un suo amico in Libano, il politico locale Gemayel che sarà anche sentito in aula – abbia forse frettolosamente glissato sul fatto che Matacena fosse condannato per mafia, ma d’altronde abbiamo tutti capito, dalle indiscrezioni circolate sui giornali, che la bella moglie dell’armatore, Chiara Rizzo, fosse (giustamente, da par suo) preoccupata che il marito finisse in galera in Italia e si fosse prodigata con quello che riteneva un amico, Scajola appunto.

La spada di Damocle che pesa sul processo è se dietro questa la Spectre di cui Scajola sarebbe uno dei terminali ci sia o meno la ‘ndrangheta. L’aggravante mafiosa finora è stata rigettata, dal gip al momento degli arresti e in ultimo dal tribunale del Riesame appena ieri. Ora, la Procura ha avuto buon gioco nel dire che la bocciatura della richiesta non è nel merito ma èlegata a una questione di metodo, ha fatto intendere che nel corso del dibattimento avrà modo di far rientrare dalla finestra un’aggravante uscita dalla porta (“ma sarebbe una cosa abnorme”, dicono i legali di Scajola), sta di fatto che la questione resta. Delle due l’una: o Scajola – sempre che venga dimostrato – ha aiutato un’amica a trovare un Paese in cui il marito ingiustamente condannato (è sempre così, no?) avrebbe potuto vivere e magari incontrare i figli, il tutto alle spalle della giustizia italiana. Una circostanza grave, per un ex ministro dell’Interno, ma probabilmente non tale da coinvolgere una delle più importanti Procure antimafia.

Oppure Scajola ha veramente dato una mano alla ‘ndrangheta, agevolando un imprenditore che – stando alle ricostruzioni – avrebbe fittiziamente intestato i suoi beni anche alla moglie per sottrarli alla confisca pur di salvaguardare un patrimonio stimato in circa 50 milioni che però – sostiene sempre l’accusa – sarebbe anche frutto di capitali della mafia calabrese, alla quale certamente darebbe fastidio perdere un tesoretto così importante. Questa Spectre non avrebbe agito per tutelare Matacena ma i suoi beni. E non sarebbe la prima volta. Sappiamo che la ‘ndrangheta deve la sua forza anche alle sue ramificazioni internazionali, ai suoi rapporti privilegiati con una parte della massoneria e alle sue infiltrazioni nei servizi segreti. Gli ingredienti per questo micidiale cocktail ci sono anche in questo caso, visto che un ex 007 di stanza a Dubai avrebbe detto che la nostra diplomazia avrebbe aiutato Matacena a rifugiarsi lì e a sfuggire alla legge.

Tutte circostanze da dimostrare, ovviamente, in quella che ha tutta l’aria di essere una spy story su cui la parola fine non arriverà così presto.

Ps: ho visto Claudio Scajola in tribunale, l’ho avvicinato, abbiamo scambiato due chiacchiere, mi è sembrato sereno. Mi ha detto di essere un uomo dello Stato, di credere nella giustizia e nei suoi occhi ho notato lo sguardo di chi non ha intenzione di finire sul patibolo, quasi che volesse sfidare la Procura e la Corte di essere in grado di smontare tutte le accuse, persino quelle di mafia che – al momento – non gli vengono contestate. Anche Lombardo è un osso duro. Sarà una bella battaglia giudiziaria.