Diventare santisti a Milano
Nella scacchiera della ‘ndrangheta si muovono tanti pezzi: ci sono capi cosca e le pedine, i colletti bianchi e quei pezzi di Stato che si muovono nella zona grigia. Ci sono presunti boss che finiscono in cella per associazione mafiosa anche se non hanno mai rubato neanche un centesimo. E ci sono i boss che contano, quelli che con una pistola in mano sanno cosa fare, come mi spiegò una volta il pentito di mafia Saverio Morabito parlando delle inchieste del 2010 a Milano che secondo lui (e secondo me) non avevano scalfito lo strapotere della ‘ndrangheta: «Ci sono molti personaggi di secondo e terzo piano. Mi sembra per lo più gente che non ha mai preso una pistola in mano… Gente che parla dei boss che contano senza averli mai incontrati. Se non li hai mai incontrati, non conti niente…».
I boss veri, lo sappiamo oggi, sono quelli che hanno la Santa. La dote di santista è la chiave di volta che segna il definitivo salto di qualità da realtà rurale a organizzazione che investe negli appalti e nel narcotraffico. Ed è dando la caccia a uno di loro che i carabinieri sono riusciti ad arrestare 40 persone tra Milano, Como, Lecco, Monza-Brianza, Verona, Bergamo e Caltanissetta.
Per la prima volta è stata ripresa la cerimonia di conferimento della dote della Santa, il più alto grado ’ndranghetista, registrato durante una cena a cui partecipavano esponenti di tre gruppi mafiosi di Calolziocorte (Lecco), Cermenate e Fino Mornasco (Como) a cui era presente anche un minorenne, parente di uno degli affiliati. «Non siamo in Calabria ma nella ridente provincia del Nord», ha detto il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccasini: «Sembra un film invece è la realtà, è la forza della tradizioni» una delle caratteristiche della ’ndrangheta. La loro affiliazione è qualcosa che hanno nel Dna e nella pelle e possono allontanarsi dalla ’ndrangheta o collaborando con lo Stato o con la morte. La forza delle tradizioni si evince anche dalle perquisizioni, dove abbiamo trovato un quaderno con un formulario».
Un formulario di cui avevo già scritto nel libro O mia bella Madun’drina, in cui il santista, una volta formata «la santa catena nel nome di Garibaldi, Mazzini e Lamarmora, con parola di umiltà», giura di «rinnegare tutto fino alla settima generazione tutta la società criminale da me finora riconosciuta, sotto la luce delle stelle e lo splendore della luna». Un rito nato ormai più di quarant’anni fa, che un collaboratore di giustizia spiega così: «Si può dire che il santista esce dalla ‘ndrangheta per entrare in una struttura mista che di certo non possiede le regole dell’onorata società. Bisogna infatti prestare un giuramento in forza del quale il novello santista è obbligato a tradire anche i familiari pur di salvaguardare la Santa. Fanno entrare il nuovo affiliato, gli chiedono di che cosa va in cerca, gli risponde che va in cerca di onore fedeltà e sangue, gli dicono che sei un cannibale, gli risponde: no, sono un raccoglitore di sangue, una vena da un fratello esce e nella mia entra. Gli pungono tre dita con un ago, il pollice, l’indice e il medio e li racchiudono tra essi, gli dicono che suo padre è il sole, la madre la luna e di mestiere fa il carrettiere. E che il numero è il 24. Che è un numero fisso convenzionale di tutti i santisti».
Ora forse se n’è accorta anche la Boccassini: la ‘ndrangheta non è un film, i boss veri sono i santisti, quelli che hanno il potere di tradire chi si sente un padrino ma in realtà non conta niente. Se si vuole smantellarla bisogna individuare i mafiosi che contano.