Ombre a San Siro, la ‘ndrangheta ha fame
Cambiano i nomi delle cosche ma il menù è sempre lo stesso: appalti, mazzette, droga e ‘ndrangheta con la complicità di pezzi dello Stato. Lo spaccato che emerge dall’ultima inchiesta della Procura antimafia di Milano, oltre al numero spropositato di arresti (quasi 60), è desolante ma ahinoi altamente previsto. Chi aveva ingenuamente festeggiato le condanne seguite all’inchiesta Crimine-Infinito che avrebbero dovuto decapitare le cosche in Calabria oggi si ritrova una ‘ndrangheta più viva che mai che ha allungato i tentacoli fino al tempio del calcio, lo stadio San Siro. E perché? Perché la ‘ndrangheta funziona meglio dello Stato: gli imprenditori «che nascono come vittime per l’esistenza di crediti che non riescono a recuperare attraverso il tribunale civile», scrive il Gip Gennaro Mastrangelo, si rivolgono all’associazione mafiosa «e finiscono inevitabilmente per esserne risucchiati».
Il clan, secondo le indagini, sarebbe capeggiato dai reggini Giulio e Vincenzo Martino, vecchie conoscenze della Procura perché già condannati a metà degli anni Novanta come affiliati alla cosca Libri di Milano come guardiaspalle del boss Domenico Branca, che appena usciti di galera – seppure in permesso – avevano ricominciato a fare il bello e il cattivo tempo tra piazza Prealpi e viale Certosa. Nell’ordinanza si legge che il sodalizio criminale sarebbe legato alle cosche Libri-De Stefano-Tegano. «A distanza di vent’anni si scopre che non è cambiato nulla», ha detto in conferenza stampa il pubblico ministero Marcello Tatangelo, e chissà che al suo «capo» Ilda Boccassini non siano fischiate le orecchie. Perché nelle 563 pagine di ordinanza ci sono tutti gli elementi dell’associazione mafiosa: intimidazioni, omertà, uso della violenza, droga, tangenti eccetera eccetera. Non cene al circolo culturale per conferire incarichi senza sparare un colpo ma appalti per la ristorazione che fanno gola, traffico di cocaina e hashish, usura, armi da guerra, estorsioni e imprenditori strangolati che diventano «intranei».
Come Cristiano Sala, imprenditore milaneseattivo nel settore del catering, titolare fino al fallimento nel 2010 della holding «Il maestro di casa», capogruppo di una serie di società chegestiva a San Siro la ristorazione per conto dell’Inter. Travolto dai debiti dopo il fallimento, Sala finisce nelle mani delle cosche invocate da uno dei suoi principali creditori, Marco Santulli, che anziché a Equitalia ha bussato dalle cosche, ingenuamente forse. In poco tempo i crediti di Santulli sono diventati un assegno in mano alla ‘ndrangheta, che per riavere indietro i soldi si è rivolta a un carabiniere che avrebbe inventato una relazione di servizio per denunciare la presenza di lavoratori stranieri clandestini presso il principale competitor dell’azienda ormai in mano ai clan, facendo scattare un blitz a San Siro del nucleo Ispettorato del lavoro dei carabinieri esattamente un anno fa, il 16 dicembre 2013, durante Milan-Roma. L’appuntato, per una mazzetta di mille euro – stando alle indagini – avrebbe dovuto convincere il Milan a non rinnovare il contratto di appalto ai rivali per consentire a Sala di ottenere l’appalto. In mezzo finisce un ignaro giornalista che pubblica la polpetta avvelenata e scredita i rivali di Sala & Co. Solo l’inchiesta della Dda ha evitato che il catering 2014 – 2015 del Milan finisse nella mani delle cosche.
È stato arrestato anche il reggino Michele Surace, titolare dell’unica sala bingo di Reggio Calabria, ritenutodagli inquirenti vicino alla cosca Tegano, che si sarebbe rivolto ai fratelli Marino per avere la protezione di un’altra sala Bingo a Cernusco sul Naviglio. La sala viene aperta, non va bene e alla fine viene fatta bruciare dal sodalizio. Per gli inquirenti i fratelli Marino «sono portatori di una forza di intimidazione» tale da manipolare i testimoni («Non poteva capitare in mano peggiori, più criminali…questo ve lo garantisco io al 100%», dice uno degli indagati parlando dei Martino). L’idea era quella di infilarsi anche nell’appaltoper la fornitura delle mense nelle carceri di Bollate e Opera. Chi si metteva contro finiva con una pistola puntata alla tempia, come l’imprenditore minacciato a Sedriano davanti alla scuola del figlio perché non aveva restituito i 35mila euro (più il 10 per cento mensile) che Giulio Martino gli aveva prestato nel 2011 per aprire un concessionario. Alla sua Bmw era andata peggio: era stata crivellata con 5 colpi di pistola.
Luci a San Siro, recitava una vecchia canzone ma tra le pieghe dell’inchiesta ci sono ancora molte ombre. A chi rispondevano a Milano i fratelli Martino? Ci sono legami tra questa indagine e il filone Crimine-Infinito? Ci sono rapporti tra i Martino e le altre famiglie di ‘ndrangheta coinvolte nelle ultime indagini sulle cosche calabresi? Se la ‘ndrangheta è unitaria, come si conciliano queste scoperte con le sentenze passate in giudicato e i processi in corso? L’unica certenzza è che la ‘ndrangheta ha fame e vuole mangiarsi la città. E non basterà un’inchiesta a farle perdere l’appetito…