L’avevo scritto sul Giornale a Ferragosto, le carte dell’inchiesta su Mafia Capitale ne sono la conferma: l’immigrazione clandestina aiuta le mafie, fornisce ai clan carne da macello senza identità da sfruttare per i traffici illeciti, dalla contraffazione al traffico di cocaina. La ndrangheta avrebbe lucrato sul traffico di esseri umani tramite una coop che gravita nella galassia del factotum Salvatore Buzzi attraverso un imprenditore incensurato che obbediva alle indicazioni del clan Mancuso di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia. Un progetto che secondo i pm romani si sarebbe perfezionato con il benestare dell’ex Nar Massimo Carminati detto il Cecato: «Questi io li faccio sognare!», dice Buzzi parlando degli uomini vicini alle cosche della ’ndrangheta coinvolti a Roma negli affari delle sue cooperative. «Colantuò, dato che tu sarai il presidente de questa cooperativa de ’ndranghetisti…», dicono intercettati i componenti del sodalizio criminale che faceva affari con il Pd.

Per quello che mi riguarda ce n’è abbastanza per decidere lo scioglimento del Comune di Roma, e mi dispiace per le parole deludenti del presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone («La norma sullo scioglimento è nata per i piccoli Comuni, Reggio Calabria è l’unico capoluogo sciolto per mafia. Bisogna dimostrare che il livello di infiltrazione è all’interno della macchina comunale, vedremo gli esiti della commissione d’accesso») a Otto e mezzo su La7, perché a questo punto bisognerebbe chiedere scusa ai cittadini di Reggio, che il commissariamento l’hanno subito su basi molto meno solide di quelle spuntate fuori dall’inchiesta.

Il commissariamento è un favore alla mafia? Sì. E perché Reggio è stata sciolta, allora? Domande che mi sono posto nel libro Malanova – Perché la ‘ndrangheta non può morire e che sono ancora senza risposte. L’unica certezza in queste storie di malaffare e pessima politica è che la ‘ndrangheta «da trent’anni e più continua a espandersi perché non ha trovato barriere idonee a impedirne il proliferare», come dice il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho, anche perché «la politica si presta ad un aumentare i canali di arricchimento della criminalità».

Le famiglie calabresi hanno messo radici ovunque, dall’Umbria agli Stati Uniti, come dimostrano due recentissime indagini: «È in Svizzera, Germania, Spagna, Francia, in tanti territori europei e addirittura in Sudamerica e in Canada. Si può vedere qual è la capacità espansiva di questa organizzazione criminale, e non c’è da meravigliarsi di presenze della ’ndrangheta in altre parti d’Italia», rimarca de Raho.

Su come combatterla le idee del primo magistrato calabrese sono nette: «Bisogna intervenire assumendo iniziative legislative da cui da tempo di parla, a iniziare dall’autoriciclaggio. E in materia di corruzione alzare i minimi edittali, per non consentire pene sospese o altre forme alternative di custodia, dando ai delitti che indicono sull’ambiente quella collocazione che meritano nel codice penale. E insieme fare in modo che anche le forze di polizia possano intervenire in modo incisivo su tutte le manifestazioni della criminalità. Non si comprende che i risultati che si ottengono con l’impiego di tanti uomini è maggiore. E invece non ci sono concorsi, c’è un invecchiamento delle risorse in campo». Invece il governo, con un occhio al portafoglio, vorrebbe ridurre il numero degli agenti e delle forze dell’ordine. «Migliorare l’economia? Diamo invece prato verde alla criminalità, che può operare senza barriere e controlli».

Ma c’è un altro filo rosso che lega Mafia Capitale a Reggio Calabria, come sottolinea un’interrogazione parlamentare di un deputato Pd che rischia di squarciare il velo su un’altra vicenda inquietante. «La latitanza di Amedeo Matacena c’entra con Mafia Capitale? –  si è chiesto l’onorevole democrat Davide Mattiello – Quali forze garantiscono ancora la sua latitanza? È legittimo chiedersi se possa cercarsi in questo groviglio di alleanze la fortuna della sua latitanza?».

Sulla latitanza dell’ex parlamentare di Forza Italia, oggi a Dubai, è in corso un processo a Reggio, anzi due. Uno – con rito immediato – riguarda l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, in abbreviato si discute del ruolo della moglie di Matacena, quella Chiara Rizzo che si sarebbe rivolta allo stesso Scajola per chiedergli un aiuto per far trasferire il marito in Libano. Nel processo all’ex titolare del Viminale non è stata (ancora) contestata l’aggravante mafiosa, svolta che invece si è registrata nel procedimento a carico della moglie.  Secondo il pm Giuseppe Lombardo che ne ha fatto richiesta, la modifica del capo d’imputazione è stata necessaria dopo una serie di approfondimenti investigativi sulla società Cogem, controllata da Chiara Rizzo e dal marito, che negli ultimi anni si sarebbe accaparrata i principali appalti pubblici a Reggio Calabria. Inutile dire che se la richiesta venisse accettata, anche per Scajola le cose si complicherebbero – e di molto – sotto il profilo penale.

Da Roma a Reggio Calabria, passando per Dubai, gli Usa e l’Umbria. La ‘ndrangheta fa affari, lo Stato si complica la vita con leggi farraginose e taglia le forze in campo a sua disposizione, la politica si mostra asservita. Qualcuno ha ancora voglia di sostenere che la ‘ndrangheta non sia immortale?

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