Roma, la coop(pola) e le ‘ndrine
Quando si parla di ‘ndrangheta e di operazioni che smantellano le cosche bisogna fermarsi a riflettere, a leggere bene le carte e a passare al setaccio le parole degli inquirenti. La maxi operazione che ha portato a 31 arresti nella capitale non va archiviata come l’ennesima retata. Perché il gruppo criminale originario di San Luca individuato dopo la morte del boss Vincenzo Femia del 24 gennaio 2013 secondo gli inquirenti non sono aveva rapporti con la coop Edera – già coinvolta nell’indagine su Mafia capitale – ma era anche in grado di trattare alla pari con i più agguerriti cartelli di narcos colombiani, con emissari in Colombia e Marocco e un’affidabilità tale da rendere il clan determinato a monopolizzare il mercato della droga capitolino con un giro d’affari di decine di milioni di euro che poi sarebbe finito nel circuito legale dell’economia, come abbiamo più volte spiegato in questo blog.
D’altronde, l’impiego di 450 tra militari dellaGuardia di Finanza e agenti della Polizia di Stato e diversi magistrati coadiuvati da elicotteri, unità cinofile e la collaborazione con le questure di diverse città (da Reggio Calabria a Bologna, da Torino a Genova) e di reparti speciali, polizia scientifica, baschi verdi della Gdf e nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria non si muovono per una “normale” indagine di ‘ndrangheta. Tanto che in un covo è stato scoperto un vero e proprio manuale delle affiliazioni scritto in codice e una serie di sofisticate apparecchiature anti intercettazioni. «Fa riflettere questa dualità di un’organizzazione antica che segue ritiarcaici e comunica con gli strumenti piùsofisticati», dicono gli inquirenti.
Tutto è partito da un omicidio e dalla preziosa testimonianza di un collaboratore di giustizia, Gianni Cretarola, secondo cui «la cooperativa Edera era disponibile per la solo formale assunzione di ’ndranghetisti», che così potevano ottenere benefici alternativi alla detenzione (come lo stesso Cretarola). Per il sostituto procuratore antimafia Michele Prestipino «a Roma la ’ndrangheta è presente perché è considerata strategica ma non si può dire che ci sia una presenza stabilizzata con una “locale” come al Nord Italia. Certo, l’operazione dimostra che, come diciamo sempre, fuori dalla Calabria le piazze sono per la ’ndrangheta sono utili non solo per l’espansione ma strategiche per
accumulare ricchezze e potere criminale».
E se fosse stato questo il loro “errore”? E se fosse stata l’eccessiva voracità dei componenti del clan a renderli “pericolosi” anche per le altre famiglie di ‘ndrangheta che operano a Roma? Gli omicidi – la ‘ndrangheta lo sa bene – sono pericolosi perché attirano gli sbirri e i giornalisti. Lo dice bene lo stesso Prestipino: «L’omicidio Femia ad opera di un commando formato da Massimiliano Sestito, Francesco Pizzata, Antonio Pizzata e lo stesso Gianni Cretarola ha segnato un punto di non ritorno per la ‘ndrangheta a Roma. Se da una parte infatti l’esecuzione ha risolto un problema per le cosche di San Luca, dall’altra ha consentito a noi investigatori, in meno di due anni, di scoprire le dinamiche criminali che erano alla base dell’omicidio stesso». Non sarebbe la prima volta che la morte di un boss scomodo fa scoprire il vaso di Pandora.