Se un processo riscrive la storia della ‘ndrangheta
Nella Calabria senza governo e senza vergogna vecchi e nuovi processi rischiano di riscrivere la storia recente della ‘ndrangheta. A Milano il boss Cosimo Giuseppe Leuzzi ha scelto di essere giudicato con rito abbreviato dall’accusa di essere uno dei mandanti dell’omicidio di Carmelo Novella, capo della Provincia che governa le locali di ’ndrangheta in Lombardia. L’omicidio diede il la all’inchiesta Infinito che decapitò le cosche milanesi. Come ho già raccontato qui e qui sulla morte di Novella il 14 luglio 2008 in un bar a San Vittore Olona ci sono poche cose da chiarire. Ma sul vero movente è ancora buio pesto. L’idea dei pm che hanno indagato sulle cosche milanesi è che il suo omicidio sia stato innescato dalla sua volontà di rendere le locali lombarde autonome rispetto alle cosche calabresi. In altre parole, perché Novella era uno scissionista.
E invece, a quanto pare, a ordinare la sua esecuzione ai killer (poi pentiti) Antonino Belnome e Michael Panajia per questioni legate a una faida sarebbe stato Leuzzi assieme ad Andrea Ruga, capo della locale di Monasterace, morto nel gennaio 2011, e Vincenzo Gallace, capo della locale di Guardavalle.
Il processo si aprirà il 20 aprile. Pensare che l’indagine sul delitto – come pensa qualcuno – sia l’ideale prosecuzione dell’operazione Infinito – secondo me non sta in piedi. O a decidere l’esecuzione è stata la presunta cupola che secondo i pm governa i destini delle cosche calabresi o l’omicidio è figlio di vecchi attriti, di beghe locali. È possibile, come in un romanzo di Agatha Christie, che sulla morte di Novella ci sia stata una convergenza di moventi? Assolutamente sì. Ma definire Leuzzi “mandante” assieme a Ruga e Gallace significa smontare in parte il castello accusatorio di Infinito, la cui sentenza definitiva (in ordinario) è al vaglio della Cassazione.
Da Milano la palla passa a Reggio Calabria, al processo d’appello contro l’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena (oggi latitante a Dubai) su cui pende una condanna per associazione mafiosa e l’ex presidente del Tar di Reggio Calabria Luigi Passanisi, accusati di corruzione in atti giudiziari nell’ambito dell’inchiesta denominata Mozart. Il verdetto non era scontato, atteso che perfino il sostituto procuratore generale di Reggio Calabria Alberto Cianfarini ha chiesto l’assoluzione per tutti gli imputati.
Invece i giudici di secondo grado hanno sposato la tesi dell’accusa, confermando le condanne a Matacena e Passanisi. Il magistrato secondo i giudici di primo grado avrebbe dunque accettato 200mila euro per favorire Matacena in alcuni ricorsi contro la società dell’armatore, la Amadeus Spa. E proprio la Amadeus è al centro del risiko societario scoperchiato dalla Dia e dalla procura di Reggio Calabria, che ha indagato la moglie dell’ex deputato Chiara Rizzo per intestazione fittizia di beni e l’ex ministro Claudio Scajola, alla sbarra con la Rizzo per «procurata inosservanza della pena», cioè di averne favorito la latitanza grazie a una presunta spectre affaristico-massonica-ndranghetistica con collegamenti anche a Montecarlo e in Libano.