Infiltrati, ‘ndranghetisti e processi che si sgretolano
La notizia del sequestro di 91 chili di cocaina purissima nel porto di Gioia Tauro fa riflettere. Il carico era nascosto dentro alcuni borsoni nascosti in un container che trasportava mandorle e proveniva dalla California ed è stata rintracciata grazie a una serie di incroci documentali e il controllo attraverso un sofisticato scanner. La cifra che fa pensare è il controvalore della vendita al dettaglio dell’oro bianco, tanto per restare al titolo del libro di Nicola Gratteri in libreria in questi giorni: 20 milioni di euro, spicciolo più, spicciolo meno.
Parliamo di una montagna di contante, pronto a rientrare nel circuito legale attraverso le varie attività di riciclaggio – bar, ristoranti, pompe di benzina, compro oro, tutte quegli esercizi dove gira molto contante – di cui la ‘ndrangheta dispone direttamente o attraverso prestanome e teste di legno. Per un carico che passa ce ne sono 100 che ahinoi sfuggono ai controlli. E questo dà un’idea di come l’organizzazione criminale calabrese sia diventata in breve tempo la holding internazionale più potente al mondo.
Così invincibile che per sconfiggerla lo stesso Gratteri propone di infiltrare al suo interno ancora più agenti sotto copertura. «Grazie al loro lavoro abbiamo ottenuto risultati importanti nella lotta al traffico internazionale di armi e droga, anche contro la mafia questa attività, di cui gli americani sono maestri, può risultare determinante», ha detto Gratteri a Bologna. «Servono uomini selezionati e preparati che per mesi rinuncino a ogni contatto con familiari e forze dell’ordine, che possano girare con armi non convenzionali per meglio calarsi nei panni del criminale e la cui identità venga lasciata segreta anche in udienza davanti al giudice», ha precisato Gratteri.
Un rischio altissimo, se si pensa alle decine di casi in cui i legami tra le cosche calabresi e alcune divise spregiudicate hanno portato a delle storture. Penso al caso del commercialista Giovanni Zumbo, 007 che trescava a casa dei boss a cui spifferava le inchieste in corso, o a quello che disse un agente dei servizi ad Antonino Monteleone nel libro Madu’ndrina:
«Potrei raccontarti di quando, incappucciato, sono stato condotto a un summit con il gotha mafioso della provincia reggina. In quel caso trattative ridotte».
«Che significa?»
«Che finii in mezzo a una tavola imbandita a festa, con alcuni boss latitanti che noi cercavamo. Ci fecero dei nomi di altri ’ndranghetisti che creavano problemi».
«E che volevano?»
«Dissero: “O li prendete voi o li ammazziamo noi”».
«Li hanno ammazzati?»
«Noi mica vogliamo i morti per le strade. Li abbiamo arrestati».
A proposito di libri. Vi ricordate l’inchiesta Metastasi nel Lecchese e nel Comasco, nata dalle rivelazioni di un pentito fatte a Gianluigi Nuzzi nell’omonimo libro? Beh, il gup di Milano ha deciso di far cadere l’accusa di associazione mafiosa contestata tra gli altri anche all’ex consigliere comunale di Lecco Ernesto Palermo, (difeso da quella vecchia volpe del foro calabrese, l’ex sottosegretario alla Giustizia del governo D’Alema Armando Veneto), riqualificandone l’accusa in associazione per delinquere.
«Una sentenza storica», esultano i legali, perchè negli ultimi anni, sia in Tribunale che in Corte d’Appello a Milano, l’accusa di associazione mafiosa aveva sempre retto nei tanti procedimenti portati avanti dalla Dda milanese guidata da Ilda Boccassini contro la presenza della ’ndrangheta in Lombardia. Adesso bisognerà capire le eventuali ricadute che questa sentenza avrà nel processo ordinario in corso a Lecco che vede alla sbarra le persone arrestate nel blitz di un anno fa, tra cui il presunto boss Mario Trovato, fratello dello storico capo della ’ndrangheta lombarda Franco Coco Trovato.
Per fare luce sulla ‘ndrangheta non servono agenti infiltrati ma pentiti veri. Uno di loro, Carmelo D’Amico, ha detto al pm siciliano Nino di Matteo di volersi pentire dopo la scomunica dei mafiosi di Papa Francesco («La Chiesa deve dire di no alla ’ndrangheta. I mafiosi sono scomunicati») pronunciate il 21 giugno 2014 a Sibari, «perché quelle parole mi hanno colpito moltissimo. Mi hanno fatto riflettere e così ho deciso di cambiare vita». Che sia vero o meno sta ai magistrati deciderlo. A me piace pensare che il pentimento sia sincero…