Il Ponte sullo Stretto e la stretta sulla ‘ndrangheta
Confesso: sono un fan del Ponte sullo Stretto. La mossa del premier Matteo Renzi di dire che «si farà» assomiglia più a una scimmiottatura delle promesse dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ma tant’è. La ‘ndrangheta non può e non deve essere un’alibi per non farlo. E se non si fa le penali sono pari al costo del Ponte, quindi tanto vale farlo. A chi dice che così si fa un favore alla ‘ndrangheta rispondo con questa intervista all’ex capo della Dia di Reggio Calabria Francesco Falbo di qualche anno fa: «Noi siamo pronti, e anche loro lo sono. Per le cosche è un’occasione propizia per fare affari, anche se vista l’alta tecnologia dell’opera, probabilmente alcuni lavori verranno affidati a imprese multinazionali specializzate. Quindi i tentativi di infiltrazione saranno limitati ad aspetti diciamo complementari, come movimento terra, guardianìa o affitto dei terreni. Ma sono business capaci comunque di offrire introiti notevoli». Dunque, parola di inquirente, sbaglia chi dice, come il Movimento Cinque stelle, che «il Ponte sullo Stretto non si farà mai per fortuna ma pensarlo aiuta le mafie e sarà la scusa per sprecare milioni di euro in consulenze e progettisti».
Certo, è difficile parlare del Ponte se si pensa che solo qualche giorno fa la provincia di Reggio Calabria è stata messa in ginocchio da un’ondata di maltempo che ha reso necessario persino l’intervento dell’Esercito con il Genio Guastatori di Palermo e Castrovillari dislocato tra Palizzi Superiore, Gruzzano, Bianco, Ferruzzano, Staiti e Caulonia – in pieno Jonio reggino – che nella sola Palizzi ha già rimosso mille metri cubi di detriti. Ma se la Calabria affonda – in attesa del famigerato Masterplan per il Sud promesso dal governo – è colpa della classe politica e degli affari che la ‘ndrangheta fa anche grazie a imprenditori compiacenti, se non addirittura affiliati.
Come – stando alle ultime inchieste – il costruttore edile Pietro Siclari e soprattutto Pasquale Rappoccio, imprenditore del ramo sanitario e sportivo titolare della società Medinex, già finito nelle indagini per l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno, già noto alle cronache giudiziarie anche per i suoi rapporti con la massoneria e per il legame con la vedova Fortugno Maria Grazia Laganà, ex parlamentare Pd. Non troppo diverso il discorso per Siclari, «da tempo inserito, con l’operazione Olimpia, nel comitato d’affari che sovrintendeva il sistema degli appalti pubblici e privati a Reggio Calabria», ha ricordato de Raho. I due imprenditori sono finiti ieri nel mirino della Dia e della Guardia di Finanza – che ha disposto un provvedimento di confisca di beni per 214 milioni di euro – perché ritenuti contigui ad esponenti della ’ndrangheta legati alle cosche Tegano e Condello di Reggio, Alvaro di Sinopoli, Barbaro di Platì e Libri di Cannavò.
«Ringrazio la Dia, la Finanza e soprattutto il tribunale delle misure di prevenzione che con un organico ridotto all’osso, con soli tre magistrati, ha raggiunto livelli di assoluta preminenza in campo nazionale per quel che riguarda l’accertamento e la lotta alle ricchezze accumulate dalla ‘ndrangheta in dispregio della legge e intossicando il gioco del libero mercato. Si pensi che il Tribunale di Reggio Calabria è nei primi tre d’Italia per i provvedimenti di sequestro e confisca. È nel panorama nazionale l’ufficio più efficiente, se si tiene conto che è costituito da soli tre magistrati», ha detto il procuratore capo Federico Cafiero de Raho, che ha ricordato «le gravi irregolarità contabili e amministrative commesse nell’ospedale di Locri da Rappoccio, denunce che purtroppo hanno trovato riscontro dopo anni dalla morte di Fortugno».
Chissà se il Guardasigilli Andrea Orlando, che si sta facendo un giretto per i tribunali del Sud, saprà dare presto una risposta ai lamenti del procuratore capo di Reggio.E meno male per i tribunali calabresi che il processo AEmilia sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’ormai ex feudo dem restano a Bologna e non a Catanzaro come chiedeva qualche imputato. Sarà interessante capire fino a che punto le cosche e le coop rosse hanno stretto alleanze con il placet a volte anche esplicito della classe politica locale. E chissà che al ministro dei Trasporti Graziano Delrio non fischino più volte le orecchie durante il processo.
A molti, me compreso, ha turbato il fatto che il governo non si sia costituito parte civile nel processo. Non è con un’opera pubblica o con la nomina di un magistrato o con la costituzione di parte civile che si combatte la mafia. Ma sarebbe un segnale che la stretta intorno alla ‘ndrangheta si fa più soffocante per le cosche. Renzi batti un colpo o #staisereno che i boss continueranno a fare il bello e il cattivo tempo. Ponte o non Ponte…