Il Marchese Delrio e la ‘ndrangheta dei grulli
«Io in commissione Antimafia? La richiesta M5S è molto bizzarra, si cerca di far dimenticare il caso Quarto». La risposta ai giornalisti alla Marchese del Grillo («Io so’ io e voi nun siete un ca…») è di quel galantuomo di Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ed ex sindaco di Reggio Emilia. La città che amministrava qualche anno fa è alla sbarra nel processo AEmilia, che sta mettendo a nudo i rapporti tra ‘ndrangheta calabrese (quella di Cutro, legata alla famiglia Grande Aracri) e il Partito democratico. Da un esponente di un partito che si riempie la bocca di legalità e lotta al malaffare non c’è risposta peggiore da dare ai cronisti.
D’altronde siamo in piena era Renzi, dove tutto è lecito: fare strame della Costituzione a maggioranza semplice, blindare a maggioranza qualsiasi riforma minacciando di far sciogliere le Camere, imbarcare impresentabili voltagabbana facendoli passare per salvatori della Patria, cancellare l’identità di un Paese con una legislazione pericolosa sulle coppie gay e con l’introduzione dello Ius Soli che ci farà diventare la nursery del Mediterraneo.
Si scherza con la Carta, con il codice civile e con il Dna. E pure con la ‘ndrangheta, di fronte all’evidenza. Di cosa deve rispondere Delrio? Facile: secondo il senatore grillino Luigi Gaetti, vicepresidente della commissione Antimafia, «il 24 marzo 2010 a pochi giorni dalle elezioni regionali il vicesindaco di Delrio Liana Barbati (Idv), candidata in Regione nel listino per Vasco Errani, partecipando ad un party in discoteca organizzato dal giornale online Reggio24Ore si faceva fotografare con gli imprenditori cutresi Antonio Rizzo (non indagato), Antonio Gualtieri ed il direttore Antonio Palermo, questi ultimi due a processo per cui l’accusa ha chiesto rispettivamente 18 e 9 anni di carcere».
Secondo le cronache del tempo i due avrebbero chiesto, attraverso un’associazione, le dimissioni da presidente della Camera di Commercio di Enrico Bini, che qualche mese dopo fu convinto dallo stesso Delrio a far pace con i due imprenditori calabresi. In quella campagna elettorale pare che ci sia stata una cena elettorale tra Delrio e Gualteri e che i due imprenditori cutresi sponsorizzarono la visita (elettorale?) di Delrio a Cutro che tanto imbarazza il ministro renziano, evidentemente ancora oggi.
Fatti non penalmente rilevanti, direbbero i soloni del garantismo a giorni alterni, che però dimostrano i rapporti tra Delrio e due imputati di ‘ndrangheta. E d’altronde è stato l’allora procuratore capo di Bologna a dire che Delrio era stato sentito come «persona informata sui fatti» nel corso dell’inchiesta AEmilia. Una rivelazione che forse gli è costata il Quirinale. Ma se Delrio è stato sentito dai pm, perché non può relazionare all’Antimafia? Il suo Comune è stato infiltrato dalla ‘ndrangheta e lui non se n’è accorto?
Quarto è un caso isolato, in confronto a Reggio Emilia o a Brescello, altro paese a guida Pd infestato dalle cosche calabresi. È naturale che le cosche o gli imprenditori corrotti facciano pressioni per avere favori in cambio di voti. Sta alla politica dire no. Altrimenti non moriremo renziani né grillini né grulli ma moriremo di ‘ndrangheta…