La Terra dei Fuochi calabrese che avvelena persino la coscienza
È presto per capire se dietro all’inchiesta Mala Pigna si nasconda davvero una Terra dei Fuochi in salsa calabra, ma i presupposti ci sono tutti. Ripeto quello che scrissi ormai sei anni fa senza timore di smentita: se è così sarebbe l’inizio della fine della ‘ndrangheta. Ce lo insegna l’epilogo della camorra, iniziato quando ha avvelenato pezzi della Campania infarcendoli di scorie radioattive e rifiuti tossici. Di fronte a questo sfregio la mafia campana ha perso il rispetto di chi, con il suo silenzio e la sua rassegnazione fatalista tipica del Meridione, ha accettato che la camorra risolvesse i problemi che lo Stato creava. Si è dunque spezzato, forse per sempre, il patto di connivenza tra il territorio calabrese e la ‘ndrangheta? Se non ora, quando? La borghesia calabrese non esiste piu, i buoni sono spariti, i migliori professionisti lavorano per le cosche. Lo dimostra per l’ennesima volta questa indagine, in cui i pm rivelano che a esaltare il ruolo preminente della famiglia di ‘ndrangheta dei Piromalli a Gioia Tauro, dove sarebbero stati sepolti i rifiuti tossici (piombo, rame e zinco, nocivi per la salute in misure stratosferiche, con punte del 5.900 % in più di quelli consentiti), poteva contare sull’appoggio di imprenditori, commercialisti, ingegneri e persino una talpa tra le forze dell’ordine. Gente che lavorava per avvelenare l’aria, la terra e l’acqua che respiravano, camminavano e bevevano i loro figli. Quousque tandem abutere, ‘ndrangheta, patientia nostra? Quale altro calcio in faccia deve ricevere la gens calabra per svegliarsi dal torpore? O abbiamo avvelenato anche la coscienza?