Cosa resta dell’Antimafia? Solo qualche rottame. Guardo le foto della giornata contro le mafie appena trascorsa, leggo i pochi articoli usciti sui giornali e sui siti e non mi sorprendo. La mafia non tira, l’Antimafia nemmeno. Colpa del governo, dice il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, che punta il dito contro la Cartabia e le mancate riforme che a suo dire non scoraggiano i delinquenti. Non il miglior biglietto da visita per chi punta a guidare la Direzione nazionale antimafia, o magari a chiamarsene fuori.

Ieri ero al Duomo, ho visto ciò che resta della macchina blindata saltata in aria a Capaci. Rottami capaci (macabro gioco di parole) di raccontare meglio di giudici e sentenze la spregiudicatezza e la ferocia della mafia, che oggi alla lupara e al tritolo preferisce il vestito buono e la valigia piena di soldi, per raccattare le macerie che il Covid e la guerra stanno lasciando per le nostre strade. La politica lascia fare, guarda imbelle, finge di indignarsi ma intanto passa all’incasso, chiude gli occhi davanti al vorticoso giro di miliardi con cui gli emissari delle ‘ndrine stanno comprando il centro di Milano, fa spallucce di fronte ai negozi che aprono e chiudono, non si interroga sul perché dalle parti del Duomo prolifera la ristorazione low cost né chi c’è dietro, salvo poi lamentarsi della movida di ragazzini ubriachi e violenti.

La mafia ha vinto, l’Antimafia ha perso. Per colpa delle faide tra i sedicenti eredi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di chi incanta le scimmie sui social e sui giornaletti asserviti alle Procure con ricostruzioni posticcie e inverosimili cui i due magistrati non avrebbero dato alcun peso, per colpa di sedicenti tuttologi di mafia che usano le stesse categorie narrative per raccontare letterature criminali agli antipodi, mentre mafia camorra e ‘ndrangheta si spartiscono cantieri, affari e prebende di Stato grazie a complicità ancora avvolte nell’ombra. Come in un ritratto di Dorian Gray, i boss hanno la faccia pulita e i soldi facili. L’immagine con le loro vere fattezze, il sangue di cui si sono macchiati è cancellato, appartiene alla Storia, che nessuno si prende più la briga di studiare.

E le indagini? Non raccontano nulla. L’intuizione della Dia si è infranta di fronte alle baruffe e alle gelosie dei corpi di polizia, le inchieste si limitano alla narrazione binaria buoni versus cattivi, guardie contro ladri, mentre nei nostri Sud siamo pirandellianamente e gattopardescamente annegati in un indefinito humus che narcotizza le nostre coscienze e solletica il fatalismo che ci culla dentro il tranquillo lido della recriminazione contro lo Stato assente, che ci manleva dalla responsabilità dell’agire individuale, che maschera la nostra assenza di coscienza critica con il più classico dei tormentoni mediterranei: la rassegnazione contro l’ineluttabile.

E tanto abbiamo (non) fatto, tantissimo abbiamo (non) detto che l’ineluttabile è diventato realtà, come una profezia che si autoavvera. Eppure basta qualche rottame a ricordarci il coraggio di chi ha combattuto fino alla fine contro un nemico invincibile, a inchiodarci alla nostra accidia, ad accartocciare le nostre pavide certezze, a sbatterci in faccia il putrido ritratto di ciò che siamo diventati. Ma solo per qualche minuto… Vuoi mettere un po’ di shopping per le vie del centro? I boss ringraziano.

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