Monumentum
Se cancelliamo il campo di concentramento di Auschwitz, la memoria di Auschwitz scompare? Oppure, se manteniamo integro il campo di concentramento di Auschwitz, la memoria di Auschwitz è garantita? La memoria ha bisogno di oggetti e luoghi tangibili per continuare a ricordarsi, oppure può sopravvivere anche nella più completa cancellazione della realtà tangibile? È il mistero del monumento, necessario e sommamente inutile al tempo stesso. Monumentum: questa parola ‘abisso’ che, da sempre, sacralizza una memoria, ma al contempo non la assicura; innalza il nome di un imperatore, di un filosofo, di una battaglia, di militi caduti, di una strage, ma contemporaneamente li lascia senza garanzie di effettiva e perdurante memoria nei tempi successivi a quello in cui viene prodotto ed eretto il manufatto, grandioso o modesto che sia. La tomba di Cicerone a Formia marmorizza in forma simbolica il tributo dei coevi verso il grande filosofo, ma non assicura alcuna durevolezza al suo nome. È questo l’enigma profondo dei monumenti: sembrano granitici nella loro secolare durata, ma essi in fondo testimoniano soltanto la durata delle loro pietre, dei loro marmi, non del loro significato. Durano più di noi, sono immortali più di noi, ma non sono fermi nei significati che noi gli diamo. Elevano una storia, senza certificare la sua permanenza. Etimologicamente monumentum significa l’atto del ricordare, ma ciò che viene ricordato e il come viene ricordato non sono assicurati da niente. Neanche dalla stessa persistenza del monumento.