Il Sistema che uccide la Memoria
«Se dire Occidente, occidentale, significa qualcosa, il suo significato è Memoria storica.» È il bilancio stilato da Guido Ceronetti nel suo ultimo libretto adelphiano, Per non dimenticare la memoria, un piccolo trattato da tenere sempre in tasca, specie laddove impazzano surrogati telematici virtuali, che finiscono per sostituire la realtà stessa. È il terrificante Impero della Rete, che seleziona – e spesso revisiona – il nostro passato, precipitandoci in un eterno presente, inveramento del sinistro appello di Gor’kij: «Bisogna togliere la memoria dal capo della gente. Per colpa sua il male cresce». E non è che un piccolo esempio, scrive Ceronetti, di quella stalinizzazione del pensiero che atrofizza la memoria, «lepre instancabile nel fuggire» la cui perdita è sempre in agguato.
La E-memoria denunciata in questo pamphlet non è reale. Ci spoglia della nostra umanità per trasformarci in utenti, tabulae rasae formattabili e resettabili. Gli uomini nuovi del miracolo finanzcapitalista denunciato da Luciano Gallino, gli atomi divorati dal Sistema che uccide i popoli di Guillaume Faye, i perfetti cittadini del mondo global che ci vuole disponibili, versatili, privi di asprezze e asperità, spigoli e particolarità, e che vede nel passato dei popoli un fardello di cui liberarsi. In fondo, l’uomo senza qualità che oggi si muove continuamente, al pari dei flussi del capitale, non ha bisogno di passato. E nemmeno di futuro. Gli basta un presente avulso dal divenire, scandito da tweet e facebook, enciclopedie virtuali e opinion leader, maschere dietro le quali «abita con la sua maschera di poltroneria la faccia oscura del reziario catturatore e uccisore della memoria autentica». Il fruitore della E-Memoria, cinico, pratico e disincantato, si sente a casa propria a New York come a Shangai. Dunque, da nessuna parte. Troppo occupato ad amministrare e ottimizzare e sezionare il presente, non sa che farsene del passato.
Eppure, scrive Ceronetti, la memoria è legata a tutta una serie di altre facoltà, tasselli fondamentali del nostro essere uomini. Atrofizzate la memoria e metterete al bando anche la vista e l’udito (trinomio che costituì il titolo di un meraviglioso libro di Piero Buscaroli), insieme all’estetica e alla bellezza: «Rumori urbani e perdita grave di memoria musicale delle madri che abitualmente cantavano in casa e sui balconi, orripilanti Sanremi riecheggiati da milioni di teleschermi, cantautori gonfiati di decibel, hanno reso stonati dall’infanzia alla vecchiaia gli Italiani». È l’autopsia di una civiltà.
Assieme alla memoria si perde il senso del sacro. Certo, il rito è ripetizione dell’origine, attualizzazione dell’illud tempus che precede la caduta nella storia (come scrisse Mircea Eliade), ma sempre tramite opportune formule che è bene ricordare. Furibondo, il pamphlet denuncia la liquidazione del latino messa in atto dal Concilio Vaticano Secondo – la stessa che fece inorridire Cristina Campo. Meglio essere democrat, con riti e sermoni alla portata di tutti… Ma quale religione si è mai curata che i fedeli comprendessero i rituali, appannaggio semmai di chi li celebra, del sacerdote che si fa pontefice (ponte) tra uomo e dio? Ultimo Baluardo: Benedetto XVI, che il 7 luglio 2007 prova a reintrodurre nelle liturgie la lingua madre del cattolicesimo – una tantum, s’intende – e incontra «l’ostilità radicale del basso clero, che non vuol saperne di apprendere un rituale che i preti credevano sparito per sempre, beati del loro volgare di bestemmia». Un passo ulteriore verso la desacralizzazione di un culto – e, insieme, di una civiltà.
Ma quando la memoria, «rievocazione perpetua del vissuto», tocca il suo nadir, viene meno il senso tragico della vita e della storia. «Più una società è illiberale e meno si ritragga dall’accennare al suo destino di morte, più ferocemente rimuove il tragico e la morte, tanto più si spoglia della realtà stessa della condizione umana.» Una perdita irreparabile, giacché con la perdita del tragico viene meno non solo il senso della vita stessa ma anche il miracolo del riscatto, «il dono della compassione», che spalanca squarci d’assoluto finanche nelle ore più buie della storia.
Che fare, dunque? Agire a livello individuale, combattere l’atrofia indotta dai dispositivi della E-memoria praticando la lettura e la rilettura, tornando a scrivere lettere, immaginandosi mittenti e destinatari. Nell’astrazione del nostro tempo, riscoprire la concretezza. «Il vento, sciagura, tira tutto verso la semplificazione e l’uniformazione grafica e parlata, e passa di là il genocidio alfabetico, dell’alfabeto in cui viviamo e siamo. Cuneiforme è l’alfabeto dell’asservimento umano. Il Cuneo! Non hai scampo, se in principio non era il Logos ma il Chiodo». A perdere la memoria si perde la propria umanità, ci avverte Ceronetti, e senza memoria non c’è Occidente. Speriamo solo non sia troppo tardi.