H.P. Lovecraft: «Come scrivere racconti fantastici»
È appena uscita, per Edizioni Bietti, la ristampa di Teoria dell’orrore di Howard Phillips Lovecraft, la raccolta più completa degli scritti teorico-letterari del Solitario di Providence curata da Gianfranco de Turris e introdotta da S.T. Joshi. In realtà non si tratta di una mera ristampa, ma di una nuova edizione aggiornata nell’introduzione, nelle note e nelle numerose bibliografie che la corredano, con l’obiettivo di offrire un inquadramento il più completo possibile dei retroscena letterari (e ideali) dell’autore del ciclo di Cthulhu. In occasione di questa nuova uscita del volume in libreria, per gentile concessione dell’editore ne pubblichiamo un estratto. Il saggio da cui sono prese le righe che seguono, risalenti al 1933, è intitolato significativamente Note su come scrivere racconti fantastici e oltre a osservazioni di carattere operativo contiene alcune delle idee fondamentali della visione del mondo lovecraftiana, che hanno reso questo autore un vero e proprio classico della letteratura contemporanea, capace di dar voce agli incubi dell’inconscio collettivo novecentesco. E ora, la parola a HPL.
A.S.
La ragione per cui ho scelto di scrivere racconti fantastici è che essi meglio si adattano ad una mia naturale inclinazione: infatti, uno dei miei più forti e durevoli desideri è di ottenere, temporaneamente, l’illusione di una misteriosa sospensione o violazione degli irritanti limiti di tempo, spazio e leggi naturali che da sempre ci imprigionano, frustrando la nostra curiosità riguardo gli infiniti spazi cosmici al di là del campo di ciò che possiamo vedere e analizzare. Questi racconti spesso enfatizzano il dato orrifico perché la paura è l’emozione più forte e profonda, e anche quella che meglio conduce alla creazione di illusioni che sfidano le leggi naturali. L’orrore e l’ignoto o il bizzarro sono sempre strettamente connessi, cosicché è difficile dar vita ad una situazione di estraneità e «alterità» cosmiche, o in cui le leggi naturali sono state mandate in frantumi, senza calcare la mano sul tasto della paura. Il motivo per cui il tempo gioca un ruolo decisivo in gran parte delle mie storie è che esso incombe nella mia mente come il dato più profondamente drammatico e severamente orribile dell’universo. Il conflitto col tempo mi sembra il più potente e fruttuoso soggetto nell’ambito dell’espressività umana.
Anche se il genere narrativo che ho scelto per i miei racconti è ovviamente del tutto particolare e forse risulta ristretto, ciò non di meno esso costituisce una durevole e permanente forma d’espressione, antica come la stessa letteratura. Esisterà sempre un sia pur limitato numero di persone che prova un’ardente curiosità nei confronti di spazi alieni sconosciuti, e un altrettanto ardente desiderio di evadere dalla prigione del conosciuto e del reale per fuggire in quelle terre incantate d’incredibili avventure e infinite possibilità che i sogni ci schiudono, e che ci vengono suggerite da cose quali foreste intricate, fantastiche città turrite e tramonti fiammeggianti. […]
Quanto al modo in cui scrivo i miei racconti, non seguo sempre lo stesso criterio. Una o due volte ho trascritto alla lettera un sogno; ma di solito comincio con uno stato d’animo, un’idea o un’immagine che desidero visualizzare, e ci rimugino sopra finché trovo un modo conveniente d’incarnarla in una catena di episodi drammatici suscettibile di venire registrata in termini concreti. Generalmente passo quindi in rassegna mentalmente una lista di condizioni o situazioni fondamentali che meglio si adattano a simile stato d’animo, idea o immagine, e poi comincio a ragionare su possibili, logicamente motivate, spiegazioni di detto stato d’animo o idea o immagine in base alla condizione o situazione di partenza. […]
I racconti fantastici possono venire raggruppati in due approssimative categorie: quella in cui la meraviglia o l’orrore attengono a qualche situazione o fenomeno; e quella in cui essi riguardano il comportamento di persone in relazione a qualche bizzarra situazione o fenomeno.
Ogni racconto fantastico – e in particolare quello dell’orrore – sembra implicare cinque elementi ben definiti: a) qualche orrore basilare, che ne costituisce il fondamento, o una situazione, entità, ecc., abnormi; b) l’effetto generale o le conseguenze del fatto orrifico; c) le modalità in cui si manifesta, l’oggetto in cui s’incarna l’orrore, e i fenomeni osservati; d) i tipi di reazione alla paura attinente l’orrore in questione; e quindi e) gli specifici effetti dell’orrore in relazione ad un determinato intreccio di situazioni.
Quando scrivo un racconto fantastico, cerco sempre di ottenere, con grande accuratezza, la giusta atmosfera e stato d’animo, e pongo l’accento dove va posto. Non è possibile, come accade nell’infantile e ciarlatanesca narrativa dei pulp, presentare un resoconto di fenomeni impossibili, improbabili o invero simili, come se si trattasse di una banale narrazione di azioni oggettive e di sentimenti convenzionali. Eventi e situazioni inconcepibili debbono superare un particolare svantaggio, ed è possibile farlo soltanto mantenendo un accurato realismo in ogni fase del racconto salvo per ciò che concerne il fatto meraviglioso di cui tratta. Questo fatto meraviglioso richiede una trattazione molto efficace e ponderata – con un attento «crescendo» emotivo – altrimenti risulterà piatta e per nulla convincente. Poiché costituisce l’elemento più importante della storia, la sua sola esistenza dovrebbe mettere in ombra personaggi e situazioni. Tuttavia, personaggi e situazioni devono essere coerenti e verosimili, salvo quando hanno a che fare con quell’unico portento. In rapporto alla meraviglia centrale, i personaggi dovrebbero dimostrare la stessa travolgente emozione che paleserebbero nella vita vera. Non si dia mai per scontata alcuna meraviglia. Anche quando si suppone che i personaggi siano abituati al meraviglioso, cerco di evocare un’atmosfera di timore reverenziale: la stessa che dovrebbe avvertire il lettore. Uno stile superficiale distrugge qualunque seria fantasia. L’atmosfera, e non l’azione, è il grande desideratum della narrativa fantastica. Inoltre, il massimo cui una storia meravigliosa possa aspirare è un vivido ritratto di certi tipi di stati d’animo umani. Nel momento in cui cerca di essere qualcos’altro diventa dozzinale, puerile e non convincente. L’accento andrà posto in primo luogo su sottili suggestioni – impercettibili accenni e tocchi che evocano, attraverso particolari scelti con cura, sfumate e crescenti associazioni d’idee atte a esprimere appropriati stati d’animo e a creare una vaga immagine della misteriosa realtà dell’irreale. Sono da evitare monotone elencazioni di avvenimenti incredibili, che non possono avere alcun fondamento o significato se non quello di aggiungere un tocco di colore o di simbolismo.
Queste sono le regole standard che – consapevolmente oppure no – ho sempre seguito dacché ho cominciato a scrivere seriamente narrativa fantastica. Si potrà discutere se abbia avuto o meno successo, ma sono sicuro che, non avessi tenuto conto delle riflessioni contenute in questi ultimi paragrafi, i risultati sarebbero stati assai meno lusinghieri.