Eduard Limonov: «I contorni di una nuova civiltà»
Aprile 2001: Eduard Limonov – scomparso qualche giorno fa all’età di settantasette anni – viene rinchiuso nella fortezza-carcere moscovita di Lefortovo. All’ombra delle sue sbarre finiscono, tra gli altri, nemici dello Stato, guerriglieri ceceni e terroristi di vario tipo. Arrestato con l’accusa di cospirare contro lo Stato, un articolo uscito su «Limonka», rivista del Movimento Nazional-Bolscevico che presiede, suggerisce alle autorità che lui e i suoi vogliano tentare un colpo di mano (armata) per invadere il Kazakistan. Assolto da tutte le accuse – salvo che per la detenzione di armi – nel corso di quello che agli occhi di molti è e rimane un processo farsesco, verrà liberato definitivamente il 30 giugno 2013, soprattutto grazie alla mobilitazione internazionale intervenuta a suo favore. Il carcere, tuttavia, non lo mette affatto a tacere, se è vero che Limonov fa in tempo a scrivere ben otto libri (tra cui lo splendido Trionfo della metafisica, tradotto in italiano per Salani nel 2013). Il testo che proponiamo, in memoria di uno degli ultimi spiriti liberi di questo nostro disgraziato tempo, è l’ultimo capitolo di Un’altra Russia (Drugaja Rossija), scritto tra il 2001 e il 2002 ma pubblicato solo nel 2003. È stato pubblicato originariamente in appendice al pamphlet firmato da Yurii Colombo (che ringraziamo per averne concesso la riproposizione qui) Nazbol. Eduard Limonov, la sinistra e la Russia in cui viviamo (Erranze, 2005), dedicato alla prima edizione del limonoviano Diario di un fallito, edito l’anno prima da Odradek. A lui si deve la traduzione de I contorni di una nuova civiltà, ultimo atto un vero e proprio «manifesto politico» nel quale, come ha scritto qualche giorno fa lo stesso Colombo (che, tra l’altro, ha intervistato Limonov in più occasioni, sulle colonne de «il Manifesto»), ricordando l’autore in occasione della sua scomparsa, «mescolò Julius Evola e Lenin, Drieu la Rochelle e Gorky». Un cammino trasversale, insomma, allergico ai tic e ai tabù e ai conformismi, di ieri e oggi.
Dietro alle sbarre di una cella della prigione di Lefortovo, quando ci si trova dominati dal comando di un odioso potere statale, tutto il gran chiasso borghese-comunista sul conflitto capitale-lavoro appare completamente miserabile. «Togliamo ai ricchi per dare un’inezia ai poveri», «votate per noi, e vi daremo quattromila rubli al mese, mentre il partito X ve ne offre solo duemila»… Capitalismo e socialismo condividono la stessa bocca e le stesse spalle, come mostriciattoli siamesi. Litigano tra loro, come due vecchi bavosi. È da tempo evidente che i filistei e l’aggressiva minoranza d’eroi hanno due concezioni della felicità e del piacere di vivere completamente contrapposti tra loro. De facto, dovrebbero vivere in Stati diversi. Anche i giovani e gli anziani avrebbero bisogno ognuno di un proprio Stato. Può darsi che tali obiettivi possano essere raggiunti solo dagli uomini di domani.
Non importa ciò che vuole e pensa la maggioranza. Già da tempo è diventato necessario smettere di adulare la massa, gli elettori, le maggioranze. Le rifiutiamo in blocco. La maggioranza della gente non ha neppure un proprio pensiero. Rileggete il mio libro Disziplinarij sanatorij. L’importante è invece orientarsi al soddisfacimento degli interessi degli eroi, di quella percentuale di superuomini della popolazione del pianeta. La maggioranza vi si adatterà. Quest’ultima, la massa, non la dimenticheremo. Ci occuperemo anche di essa. Vuole solo aumenti salariali, che siano in dollari o rubli non importa. La minoranza ha necessità, al contrario, di più libertà, di mettere a frutto la propria aggressività. Per questo intendiamo orientare la nostra civiltà verso la minoranza aggressiva, verso i marginali. Essi sono il sale della terra. Invochiamo una Seconda Russia, che non sia solo dei russi, ma di tutti.
Qualcuno potrà dire: «Non è mai esistita». È vero che non è mai esistita, ma esisterà. C’è stato anche un tempo in cui non c’era nulla. Ci vuole audacia. I fondatori del sionismo, gli Herzl, gli Jabotinskij, vennero derisi quando esposero la dottrina del sionismo, la quale sosteneva che Israele aveva bisogno di un territorio per un suo Stato. Gli fu proposto, come noto, il Madagascar, Stalin garantì agli ebrei una provincia autonoma. Ma loro preferirono conquistarsi uno Stato in Palestina. Negli anni Venti iniziarono ad emigrarvi i primi seguaci. Gli ebrei in Palestina erano al più qualche migliaio, meno di quanti siamo noi del Partito Nazional-Bolscevico, e presumibilmente si sbagliavano, anche perché è lecito pensare che la Gerusalemme della Bibbia fosse Costantinopoli. Ma la forza della fede, la più potente delle convinzioni, a dispetto di tutte le volontà delle nazioni europee, li aiutò a vincere. Nel 1948 Ben Gurion poté dichiarare la nascita dello Stato di Israele in Palestina. Noi annunciamo la fondazione di una nostra Seconda Russia. Non importa assolutamente chi la annunci, sia esso Limonov o un suo seguace. Io credo in ciò che dico e questa mia fede risuona in questa cella, attraversa le serrature, fa tintinnare le catene, giunge nelle cucine del carcere, nei cortili dell’ora d’aria. Non solo percepisco di scrivere frasi profetiche, ma so che il destino mi ha scelto per annunciare il futuro. Ci sarà una Seconda Russia: s’imporrà una nuova civiltà, il rifugio di una nuova civiltà; ci sarà una libera terra promessa.
I principi fondamentali della vecchia civiltà erano i principi del lavoro e della religione protestante, che parlavano il linguaggio dell’industriosità. In tal guisa, si prometteva all’uomo una vita tranquilla e agiata fino al raggiungimento della più veneranda età, una vita noiosa come quella di un animale domestico. I principi fondamentali della nuova civiltà dovranno essere una vita integrale, eroica, perigliosa, all’interno di comunità nomadi armate, la comunanza degli uomini e delle donne basata sulla fratellanza, sul libero amore e sull’educazione sociale dei bambini.
Le gelide città dovranno essere chiuse e la loro popolazione dispersa. Il modello di vita nomade si presenterà più o meno così: una grande Comune si sceglierà un luogo e vi si trasferirà in elicottero; se sarà un’isola, con trasporti fluviali; sulla terraferma, con autocarri. Nel futuro, con l’abbandono e l’esodo dalle città, lo stile di vita urbano si estinguerà, e insieme ad esso si estingueranno gli oggetti collegati al modello di vita urbano. Non ci saranno divani, armadi; non ci sarà più necessità di mobili e utensili casalinghi. Così come la città è fondamentalmente qualcosa di arcaico, anche il legame economico, politico e territoriale che schiavizza l’uomo in un dato luogo per molto tempo sarà vietato, superando la necessità di un’edilizia basata su costruzioni permanenti. Tutta l’edilizia sarà volta alla produzione di calde e leggere abitazioni per genti nomadi, capaci di tenere insieme i membri delle comuni: gli individui, i loro utensili, le loro armi. Verrà fortemente sviluppata l’industria aeronautica, la progettazione e produzione impetuosa di grandi macchine sul genere dell’elicottero (in grado di decollare verticalmente). Sarà anche sviluppata la produzione d’imbarcazioni fluviali e marittime, immaginate per il modello nomade di vita di ogni singola comune.
La sfera della produzione, nella nuova civiltà, sarà significativamente limitata. Come già detto, sarà data preferenza alle macchine aeronautiche sul genere dell’elicottero. Il trasporto automobilistico sarà sviluppato limitatamente. La preferenza sarà data a robusti autocarri. Le ferrovie saranno controllate dalle Comuni e non funzioneranno continuamente, ma con l’obiettivo di distruggere le infrastrutture tradizionali, orientate sulle città. Non sarà più necessario produrre molti tipi di beni, come per esempio una così grande quantità di abiti, come avviene ora. Tutta la Cina comunista, seguendo le tradizioni dell’antica Cina, si vestì per molte generazioni con pantaloni e giacche blu di cotone, e calzò un singolo paio di pantofole. D’inverno i pantaloni e le giacche erano ovattati, e nulla più. Il grande Timoniere Mao, per tutta la vita, indossò gli stessi tipi di abiti. Nella società del futuro ci si limiterà a vestire jeans neri, giacche nere e scarponcini anch’essi neri. Tale tipo d’abbigliamento, tra l’altro, era prescritto da giornale «Limonka» ai primi nazional-bolscevichi.
Le fabbriche che produrranno gli elicotteri, le navi, le automobili, le armi e i prodotti tessili della nuova civiltà potranno essere installate nelle periferie delle città abbandonate. Alla stessa maniera potranno vivere gli operai salariati, che vorranno lavorare in fabbrica. Tali fabbriche saranno limitate numericamente allo stretto necessario. La struttura urbana controlla l’uomo in maniera totalizzante. Per realizzare l’uomo nuovo bisogna, dunque, lasciare la città. Bisogna tornare al tradizionalismo, nel suo significato più profondo. Le Comuni armate saranno come fiammelle nel buio. Questo sarà il nostro tradizionalismo. Le Comuni saranno amministrate dal Consiglio della Comune. Al posto di Comuni, si potrebbero chiamare anche Orde. Non si dovranno temere le contraddizioni che potranno sorgere tra Comuni, né temere scontri. L’aggressività creativa dei separatismi è preferibile all’ordine carcerario del globalismo. Non ne consegue che bisogna concepire la nuova civiltà come un salto indietro nel passato. Non ne consegue che noi predichiamo la lotta contro lo sviluppo della scienza, la lotta contro gli utili e intelligenti raggiungimenti del progresso tecnico. No. Svilupperemo sia internet sia la genetica, e una nuova super-televisione. Televisione e internet collegheranno insieme le Comuni armate in un’unica civiltà di liberi cittadini.
Per quanto riguarda i metodi di distruzione della vecchia civiltà, tale distruzione non sarà raggiunta attraverso uno scontro frontale. Non contrapporremo eserciti a eserciti con i loro corollari di trincee, carri armati e bombe atomiche, né faremo alla maniera dei talebani. La distruggeremo dall’interno. Creeremo immediatamente alcune decine di focolai insurrezionali all’interno dei Paesi tradizionali. Così agiremo. La distruzione immediata della loro potenza militare è impossibile. Ma dal punto di vista spirituale la loro civiltà è morta. È, fino in fondo, spiritualmente logora.