«Boris Pasternàk ha creato un geniale affresco della Russia eterna, interpretando i sentimenti e le aspirazioni della sua magnifica gente»: così si conclude Pubblicate Zivago! di Sergio d’Angelo, edito da Bietti lo scorso dicembre in occasione dei sessant’anni dalla morte del grande scrittore russo. Diario di viaggio nella Russia comunista degli anni Cinquanta e Sessanta, spaccato della vita editoriale e culturale del tempo, il volume di d’Angelo è soprattutto la cronaca delle trame e sottotrame politiche che portarono il celebre Dottor Zivago in libreria, nel novembre del 1957, donando al pubblico un capolavoro senza età e, al tempo stesso, immortalando la vittoria della libertà sulla censura, la potenza delle idee contro la sclerosi ipertrofica e burocratica di un’ideologia liberticida come poche altre. Originariamente pubblicato nel 2006 sempre da Edizioni Bietti, tramite la mediazione di Valerio Riva (co-fondatore della casa editrice di Giangiacomo Feltrinelli nel 1954 e tra i fautori della resurrezione di Bietti nel ’97), il libro sul “caso Pasternak” – come recitava il titolo della sua prima versione – esce ora nella collana “l’Archeometro”.

Rileggere a quattordici anni dalla sua prima pubblicazione e a sedici dalla sua redazione finale – stando alla data posta in calce all’introduzione – questa Storia della persecuzione di Boris Pasternak, come recita il sottotitolo, riconferma la freschezza di quello che era e rimane un testo “vivo” (secondo l’espressione di Giancarlo Perna, il cui ruolo è stato fondamentale nella preparazione di questa nuova versione).

Se nel 2006 il volume era tra i pochissimi a riportare nei dettagli la storia editoriale del capolavoro, sottraendo all’oblio la censura comunista che lo colpì (invano), nel corso degli anni altri studiosi – servendosi di materiali allora non disponibili – hanno approfondito il discorso, sondando più a fondo quell’affaire internazionale che scosse l’Urss. Un esempio su tutti: Paolo Mancosu, autore del monumentale e completissimo Pasternak e Ivinskaja: il viaggio segreto di Živago, dato alle stampe sempre l’anno scorso per i tipi di Feltrinelli. Si tratta di studi che riportano una gran mole di documenti archivistici, facendo il punto anche sulla “letteratura secondaria” dedicata all’argomento, punti di riferimento imprescindibili per chi, in futuro, si interesserà a questi fatti.

In quest’abbondanza di studi, la ripubblicazione delle pagine in questione non obbedisce alla volontà di rimettere a disposizione dei lettori un tassello fondamentale di quella che potrebbe essere definita “storiografia della ricezione pasternakiana”, attribuendo cioè a Il caso Pasternak l’autentica funzione di “apripista” – che peraltro, a tutti gli effetti, ebbe. Nessun intento archeologico o museale, ma qualcosa di più: la restituzione della freschezza di un’esperienza vissuta in prima persona, la viva testimonianza di chi partecipò attivamente alla scoperta del volume di Pasternak, di chi lo ricevette fisicamente dalle sue mani, di colui che in quei lontani anni Cinquanta udì l’autore stesso dirgli: «Questo è il Dottor Zivago. Che faccia il giro del mondo». Per poi aggiungere, sarcastico (ma fino a un certo punto…): «Fin d’ora, siete tutti invitati alla mia fucilazione».

Nessuna ricostruzione messa nero su bianco ex post facto, ma il racconto – dal sapore spesso avventuroso – di fatti avvenuti allora, in quei mesi concitati, nell’occhio del ciclone. Si tratta di un libro che alterna vari piani narrativi, in cui le vicende editoriali del Dottor Zivago – le reiterate censure, le minacce (in molti casi, tradotte nella pratica) all’autore e ai suoi cari, l’ombra lunga del Pcus sui suoi maggiordomi europei – sono inframmezzate da squarci di vita quotidiana nell’Unione Sovietica, lunghi viaggi realizzati per conto di Radio Mosca nei “Paesi satelliti”, messe a punto sulle evoluzioni politiche sia in Urss sia in Occidente, la Grande Storia rifratta nei corridoi di case editrici e redazioni di giornali.

Un saggio che si legge come un romanzo, anzi come un diario, tenuto da un giornalista indipendente e non allineato che si batté anzitutto per la libertà della cultura da ogni ingerenza di ordine politico. Naturale che il suo temperamento lo avesse portato a patrocinare la causa di Boris Pasternak, raro esponente – allora come oggi, in un’epoca di conformismo generalizzato – di una categoria umana che antepone la libertà a tutto, compresa la vita. Pubblicate Zivago! è pieno di testimonianze di questo carattere. Una su tutte, la lettera spedita da Pasternak a Feltrinelli il 2 novembre 1957: «Non riesco a trovare parole sufficienti per esprimerle la mia riconoscenza. Il futuro ci ricompenserà, lei e me, delle vergognose umiliazioni che ci hanno inflitto». Proprio in queste righe risiede lo iato che separa il miope autoritarismo dei censori dal solare coraggio della cultura libera. Se il primo è tutto appiattito sul qui e ora, sul cronachismo spicciolo, curandosi solo di mantenere lo status quo e finendo il più delle volte nel dimenticatoio, la seconda è invece orientata verso il futuro, verso chi verrà. I burocrati passano, Pasternak resta. Anche a distanza di sessant’anni. Prova ne è la ristampa di questo volume, testimonianza libera rivolta a spiriti altrettanto liberi.

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