Immigrazione, quando l’assenza di patria diventa un destino storico universale
Immigrazione, quando l’assenza di patria diventa un destino storico universale
«I muri non basteranno a proteggerci. Le barriere che dividono l’Europa sono una zavorra che ne ha appesantito il cammino». Così, dal Teatro Regio di Torino, dove ha concluso la seconda edizione del forum per il dialogo italo-tedesco, il capo dello Stato Sergio Mattarella, in merito alla decisione delle autorità austriache di costruire una barriera anti-migranti al Brennero. E ancora: «Tornare indietro da Schengen sarebbe un atto di autolesionismo, per tutti. Bisogna trovare soluzioni per le migliaia di donne e uomini che fuggono da guerre, violenze, devastazioni e bussano alle porte della Ue».
Nelle stesse ore in cui il Presidente della Repubblica italiana esprimeva queste considerazioni, veniva presentato a Milano il “Rapporto 2016 sulla condizione giovanile in Italia” dell’Istituto Toniolo – Ente fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, basato sulle risposte di 9mila ragazzi tra i 18 e i 33 anni con titolo di studio, condizione lavorativa e residenza diverse. Secondo i dati raccolti, la cosiddetta “generazione millennials” sembra avere le idee molto chiare su immigrazione e futuro dell’Europa: credono sempre meno nell’Unione Europea e hanno sempre più ostilità nei confronti degli immigrati, convinti che diffondano la criminalità. La percezione verso l’immigrazione che sembra emergere da questo rapporto appare dunque in netto contrasto con l’auspicio di Mattarella. Le indicazioni fornite dal campione intervistato non lasciano spazio a interpretazioni: sono stati posti interrogativi nei cinque Paesi europei che hanno il maggior numero di stranieri, vale a dire Italia, Francia, Regno Unito, Germania e Spagna. L’Italia ha la percentuale più elevata di giovani (88%) che ritengono che gli immigrati siano troppi. I ragazzi di tutti gli Stati presi in esame concordano, invece, sul fatto che i migranti arrivano a causa della “facilità d’ingresso”. E se l’11,8% degli inglesi ritiene che l’immigrazione non sia un problema, gli italiani presentano la quota più bassa con il 2,8% degli ottimisti nei confronti di chi arriva da lontano in cerca di accoglienza.
Abbiamo chiesto al filosofo e professore universitario trentatreenne – dunque appartenente anch’egli alla generazione presa in considerazione – Diego Fusaro un’opinione in merito: «La prima considerazione da fare è che vengono definiti giovani individui fino ai 33 anni, età nella quale si dovrebbe essere già entrati nella maturità. Già questo meriterebbe una riflessione – argomenta Fusaro – viviamo in un’epoca che vive di precariato e non ti permette di stabilizzarti e di maturare. Al di là dell’esito della ricerca, appare evidente che la politica non è in grado di affrontare in maniera adeguata il tema dell’immigrazione, che merita una considerazione sociologica, filosofica e antropologica molto più articolata e sicuramente molto lontana sia dalla visione della sinistra buonista che cela la difesa del capitale e dei suoi interessi dietro il falso mito dell’accoglienza e della “retorica del migrante”, sia dalle destre che vedono nell’immigrato il nemico.
Il nemico – chiarisce ancora Fusaro – non è chi ha fame ma chi affama; chi getta nella disperazione i popoli e non chi è disperato; chi costringe gli esseri umani a fuggire, non chi fugge; chi provoca l’immigrazione, non chi la subisce.
Ma la politica segue altre logiche, tutela il Capitale che ha bisogno di nuovi schiavi sottocosto, ha bisogno di ridurre anche i nostri lavoratori a merce di scambio e l’immigrazione di massa è sicuramente funzionale al dominio del Capitale finanziario globale. L’Unione Europea delle élite oligarchiche ha bisogno di nuovi schiavi».
Difficile dare torto a Fusaro: dallo studio condotto dall’Istituto Toniolo emerge infatti che per tre quarti dei ragazzi italiani le opportunità offerte dal proprio Paese sono peggiori rispetto alla media degli altri Paesi sviluppati e l’84% è disposto a emigrare pur di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. Lo stesso ISTAT certifica che centomila connazionali under 40 nel 2015 si sono cancellati dall’anagrafe per andare a vivere oltre confine.
Immigrazione come trend di massa, dunque, che interessa non solo profughi e richiedenti asilo ma anche i nostri ragazzi che in Italia non vedono prospettive.
«Indubbiamente – conviene il filosofo – il pensiero unico mondialista capitalista mira a legittimare e a produrre il nuovo modello antropologico del migrante come valore in sé positivo, e questo vale anche per i giovani italiani, sempre più ridotti a migranti che devono abbandonare il loro paese per andare a fare – magari da laureati – i lavapiatti a Londra o a Sidney. La competizione globale dell’odierno fanatismo economico si regge sulla delocalizzazione del lavoro. Il capitale ha bisogno dell’immigrazione ad ogni latitudine».
Al netto delle statistiche e delle considerazioni filosofiche ed economiche sul ruolo capitalismo, vivere per un certo periodo all’estero può essere considerata un’opportunità professionale e di vita. Un’opportunità appunto, non una necessità. A dominare la scelta, però, molte volte non è l’idea di fuga intesa come stimolo o avventura, quanto piuttosto il desiderio di realizzarsi. Ovunque sia possibile. Anche se la vera libertà e la vera realizzazione di sé sarebbe poter avere la possibilità di portare avanti il proprio progetto di vita non ovunque sia possibile ma ovunque ognuno desideri.
Citando Diego Fusaro “quando Martin Heiddeger scriveva che l’assenza di patria diventa un destino storico universale”, aveva colto esattamente la tendenza che oggi si è realizzata.
Ma questo, forse, per i politici è un concetto “filosofico” troppo lontano dalla loro realtà.