A volte ritornano. Metti ad esempio quel Paolo Romeo che, neanche troppo a sorpresa, spunta fuori nell’inchiesta su Claudio Scajola. Nei giorni scorsi la Procura antimafia di Reggio Calabria ha annunciato di aver indagato altre persone nell’inchiesta Breakfast: si tratta dei personaggi già oggetto di perquisizione, dai due Fanfari, Giorgio e Cecilia fino a Emo Danesi, ex dc espulso quando saltò fuori la sua iscrizione alla P2. Sono loro gli altri complici della presunta Spectre affaristico-mafiosa collegata alla massoneria?

La caccia è partita ancor prima di aver iniziato a spulciare la documentazione monstre – centinaia di faldoni, ci vorranno mesi – sequestrata agli indagati e arrivata da Roma. C’è già stata la prima riunione operativa a Reggio tra pm e uomini della Dia (non senza qualche attrito, pare). E ci sarebbe la conferma dell’indiscrezione, anticipata da me sul Giornale, dell’esistenza di un appunto scritto a mano da Scajola su carta intestata della Camera in risposta alle rassicurazioni del politico libanese Amin Gemayel sull’ok di Beirut alla latitanza dorata di Amedeo Matacena, l’ex deputato azzurro condannato a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Del sodalizio che avrebbe favorito l’esilio ci sono anche la moglie, la madre, la segretaria e due suoi prestanome come Martino Politi, regista secondo i pm del risiko finanziario per occultare i beni dei Matacena in favore della ’ndrangheta attraverso società off-shore e intermediari tra Montecarlo e Lussemburgo ancora in parte da individuare, ha detto che il progetto di «fusione inversa» (una società piccola che ne acquista una più grande) non era fatta per sfuggire alla confisca ma per semplificare la costellazione di società. Ma intanto si cerca tra Antigua, Montecarlo e Dubai la pista rossa che porterebbe ai nomi delle persone e alle alchimie finanziarie usate per occultare i beni che Matacena avrebbe voluto sottrarre al sequestro. Sarà lunga…

Adesso spuntano una quarantina di pagine, allegate all’appello presentato al Riesame contro l’esclusione dell’aggravante mafiosa nei confronti della Spectre: è lì che spunta la vecchia conoscenza della politica reggina. Paolo Romeo, giova ricordarlo, è l’ex deputato del Psdi condannato nel Duemila a tre anni per concorso esterno. Fu un ex esponente di punta del Movimento sociale italiano durante i moti di Reggio Calabria, poi passo nel partito più ” a destra” dell’allora pentapartito. Che Romeo possa essere uno dei terminali della presunta lobby affaristico-massonica?

La prova sarebbe in una vecchia intercettazione ambientale registrata il 5 novembre 2011 nello studio di Romeo, in cui l’ex Pdsi dice al suo interlocutore: «Parliamoci chiaro, se tu puoi costruire su Matacena l’ipotesi di una sua candidatura è buona… eppure che esce Matacena parlamentare europee è già una cosa che si entra, diciamo, i meccani… in finanziamenti… cioè uno può fare l’ira di Dio poi và… qua con i finanziamenti pubblici, una serie di agganci… le cose perchè tu, tieni conto, che poi dopo le Europee ci sono le Regionali». Millanterie o raffinata strategia politica? Toccherà ai pm scoprirlo. Certo, inserire nella Scajola story un altro condannato per concorso esterno è un escamotage intelligente in vista del Riesame. Anche per smentire la tesi del Gip Olga Tarzia, secondo cui il sodalizio affaristico-massonico non è di appoggio esterno alla ‘ndrangheta. La notizia che Scajola sia indagato per «concorso esterno» (tesi ancora tutta da verificare…) rilanciata da Corriere, Repubblica e Stampa, più che uno scoop è sembrato un assist ai pm. Vedremo.

Ma che c’entra la ‘ndrangheta con Romeo? E soprattutto, cosa c’entra la ‘ndrangheta con i moti di Reggio degli anni Settanta? I miei (pochi) lettori lo sanno già: la ‘ndrangheta cavalcò la rivolta dei «Boia chi molla» perché coltivava il sogno di una Calabria autonomista, per non dire scissionista, poi trovò un’intesa con politici, massoneria e servizi segreti deviati che ancora oggi secondo la Procura la proteggono.

E qui ai pm viene in soccorso una richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Palermo per una indagine che metteva insieme Romeo, Totò Riina, i fratelli Graviano (al centro della presunta trattativa Stato-mafia), Nitto Santapaola e Stefano delle Chiaie. Tutti insieme, appassionatamente, avrebbero «promosso, costituito, organizzato, diretto e/o partecipato ad un’associazione, promossa e costituita in Palermo anche da esponenti di vertice di Cosa Nostra, ed avente ad oggetto il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine costituzionale, allo scopo – tra l’altro – di determinare, mediante le predette attività, le condizioni per la secessione politica della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia, anche al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa Cosa Nostra e di altre associazioni di tipo mafioso ad essa collegate sui territori delle regioni meridionali del Paese».

Sono solo fantasie o la storia d’Italia degli ultimi vent’anni (ma facciamo anche quaranta…) è tutta da riscrivere?

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