«Questa sentenza non è una vittoria della sola Procura, ma degli interi uffici giudiziari milanesi. Oltre gli inquirenti, anche il tribunale e la corte d’appello hanno dato prova di grandissima professionalità, che ci ha consentito di arrivare a questo storico risultato a meno di quattro anni dagli arresti». Così una raggiante Ilda Boccassini al Corriere della Sera ha «festeggiato» il verdetto della Cassazione sul processo Crimine-Infinito. E ha tirato anche un bel sospiro di sollievo. Perché?

Perché non è tutto oro quello che luccica, e la procura antimafia milanese lo sa bene. Dice la Boccassini: «È stato premiato un lavoro di squadra che è cominciato con il coordinamento delle due Procure interessate», quella di Milano e quella di Reggio Calabria. «Abbiamo operato senza che nessuno prevaricasse l’altro, avendo la forza e la coscienza di fare un passo indietro quando è  stato necessario, mettendo da parte i personalismi e le esigenze dei singoli, accantonando gelosie e asperità caratteriali», sottolinea la responsabile della Dda di Milano, che poi piazza la stoccata finale. «Grazie alla sentenza, d’ora in avanti sarà più facile celebrare gli altri processi. L’organizzazione unitaria e non parcellizzata, anche nelle sue propaggini al Nord e nelle altre parti d’Italia, è un dato acquisito».

Ah si? Vediamo perché non è così semplice, chiarendo subito un punto: quel che penso sulla bontà dell’ipotesi accusatoria che sta alla base dell’inchiesta Crimine-Infinito l’ho scritto chiaro e tondo su Madu’ndrina, a fine 2010, e lo ribadisco ancora oggi.

Punto numero uno: pensare che Domenico Oppedisano sia il capo assoluto della ’ndrangheta è una follia. Al massimo, come ho già scritto, ha una funzione di paciere, dirime i contrasti tra le famiglie, senza trarre alcun profitto personale. Più che capo dei capi, Oppedisano è una sorta di Cassazione che decide gli esiti delle guerre di mafia. Prima bufala.

Punto numero due: pensare che la cupola che comanderebbe Milano sia composta esclusivamente (e sottolineo esclusivamente) da chi ha organizzato il famoso summit di Paderno Dugnano il 31 ottobre 2009 da Pasquale Zappia a Pino Neri e Vincenzo Mandalari, è quantomeno illogico, e ci sono delle sentenze a stabilirlo. Seconda bufala, ma a scadenza ravvicinata.

Perché, punto numero tre, a Milano contemporaneamente alle famiglie presenti al famigerato summit, ci sono infatti altri personaggi di spessore conclamato che agiscono indisturbati e senza dare conto agli Zappia o ai Pino Neri di turno, tutt’altro: penso alla famiglia Flachi, a Paolo Martino (killer dei De Stefano “a riposto” considerato il tesoriere delle cosche a Milano) o ai  “capi” dei Varca di Erba, originari di Isola Capo Rizzuto, cioè al potentissimo clan Arena. Quelli del mega parco eolico sequestrato a Crotone, quelli che assieme a Gennaro Mokbel, l’anarcofascistoide sospettato di legami con gli 007 deviati, fecero eleggere in Germania con il Pdl l’ex senatore Nicola Paolo Di Girolamo. Gente di spessore (Martino ha sangue dei De Stefano in vena, e questo conta assai) che però, a quanto secondo la sentenza Crimine-Infinito (in attesa delle motivazioni) semplicemente non esistono. Quindi? La Boccassini dice che la ‘ndrangheta è unitaria, e probabilmente non ha tutti i torti. Ma a chi risponde Paolo Martino? E Pepè Flachi? E gli Arena? Terza bufala.

Punto numero quattro. I legali di alcuni imputati dicono che la Cassazione ha calpestato la giustizia. Altra premessa: io sono garantista fino al midollo, e spero sempre che alla difesa venga dato il più ampio spazio possibile. Perché più la difesa è riuscita a esercitare le sue prerogative, più forte e inoppugnabile sarà la sentenza di condanna. Questo processo, però, ha un vizio d’origine che la Suprema corte, al netto delle discutibili risultanze investigative – che spero presto verrano smentite in Cassazione da altre sentenze, come quella di Redux-Caposaldo sui Flachi e su Martino –  avrebbe dovuto sanare. In primo grado, infatti, il gup Roberto Arnaldi depositò le motivazioni in due tempi – fatto accertato, non opinabile – e secondo i legali di alcuni boss alla sbarra, «utilizzando il metodo del “copia-incolla” degli atti istruttori». Cosa dicono gli avvocati?«Quando le regole processuali cedono il passo di fronte ad esigenze diverse, la giustizia perde e lo Stato di diritto trema. Come difensori di alcuni imputati ma soprattutto come cittadini di questo Paese, manifestiamo la nostra amarezza e la nostra preoccupazione per una sentenza gravemente ingiusta».

La legge è forma, prima ancora che sostanza. Cosa avrebbe dovuto (o potuto) fare la Cassazione? Rinviare tutto? Probabilmente il castello accusatorio, seppur secondo me debole, avrebbe retto all’urto ma l’immagine del Tribunale di Milano, che oggi è scosso da una sorprendente guerra di potere, ne sarebbe uscita irrimediabilmente compromessa. Ad aggravare questa ipotesi c’è anche lo scontro sotterraneo interno alla Direzione nazionale antimafia rivelato al Csm nei giorni scorsi, quanto di fronte alla VII commissione il sostituto procuratore nazionale antimafia Filippo Spiezia ha confermato quanto già scritto sulla Relazione nazionale sulla lotta alle mafie: altro che serena collaborazione, l’antimafia di Milano guidata da Ilda la rossa sarebbe stata gelosa custode delle inchieste più delicate e scottanti e non avrebbe condiviso con la Dna alcune presiose informazioni.

Ecco l’indicibile verità sulle cosche a Milano. I vari Zappia, Mandalari e Neri certamente hanno un legame con la ‘ndrangheta ma a malapena rappresentano sé stessi. Come mi disse il pentito Saverio Morabito, le cui rivelazioni furono quasi mortali per la ‘ndrangheta negli anni Novanta, nell’indagine Crimine-Infinito «ci sono molti personaggi di secondo e terzo piano. Mi sembra per lo più gente che non ha mai preso una pistola in mano… Gente che parla di quelli che contano senza averli mai incontrati. Se non li hai mai incontrati, non conti niente…». Non sono loro che comandano a Milano. Ma non ditelo alla Boccassini.

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