In un Agosto torrido sta scoppiando l’ennesimo caos sulla legge del 13 Luglio 2015, n. 107, meglio conosciuta come “Buona Scuola.” È un’altra lunga estate dell’istruzione italiana. Da noi c’è una tradizione politica precisa: chi tenta la strada della riforma scolastica passa delle grosse rogne. Di tipo politico, si intende. Specie quando dalla dialettica si vira nella guerra ideologica: il ritiro strategico di Luigi Berlinguer sul “concorsone”e il pianto napoletano di Tullio De Mauro ne sono la memoria storica.

Era il tempo dell’establishment della sinistra governativa impigliatasi nelle secche della contestazione. Ci risiamo?

Il tutto avviene ancora dentro una triangolazione tra il partito maggioritario di centrosinistra, i sindacati di base e le sigle confederali. Una lotta intestina, in pratica. Con l’aggiunta della ferocia del web.

La consegna in Cassazione delle 530,000 mila firme necessarie per il referendum abrogativo della 107 rischia di rappresentare un nubifragio sull’estate del Partito Democratico. A raccoglierle, infatti, sono stati soprattutto dei piccoli comitati locali di docenti: il segno che la visione di Renzi della scuola non piace ad una grossa fetta dell’elettorato tradizionalmente vicino al Pd. Nei comunicati si parla di “riforma ispirata da un’ideologia iperliberista ed aziendalista.” Quasi a dire che, in confronto, la Moratti e la Gelmini siano ormai considerate delle sodali della scuola pubblica.

La Cgil,intanto, ha annunciato che chiederà al giudice amministrativo di rimettere la 107 alla Corte Costituzionale per una presunta illegittimità delle norme riguardanti la chiamata diretta mentre alcuni presidi chiedono una video-presentazione curriculare: è la dittatura culturale del casting. Dagospia ha sparso la voce che i figli di Renzi sarebbero stati trasferiti da Pontassieve in un’esclusiva scuola americana di Firenze ma la mobilità che desta più preoccupazione è quella dei trasferimenti. La Giannini è stata costretta a dichiarare: “È un processo complesso…”

A Settembre avremo ancora cattedre scoperte, precariato e supplenze. Tutto quello che la 107 avrebbe dovuto risolvere alla radice. Dal sud Italia arrivano lettere strappalacrime indirizzate al Premier, nelle quali si racconta di una deportazione di decine di migliaia di persone, di famiglie private della stabilità economica ed esistenziale, di scelte sciagurate e di conseguenze per Ottobre.

Ottobre, già. Ieri sono andato ad una delle iniziative promosse dal Ministro Maria Elena Boschi in vista del referendum costituzionale per chiederle se e quanto peserà elettoralmente lo scontento del mondo della scuola: non ha voluto rilasciare né risposte né interviste. L’unica cosa che ho strappato è un selfie goliardico.

L’insegnante non è più il depositario assoluto del sapere ma resta una delle poche figure stabili all’interno di quella che Bauman chiama società liquida. La scuola pubblica ha degli orari, dei confini fisici e persino una gerarchia interna. E’ un luogo percepibile come solido e, in quanto tale, forma e struttura le opinioni delle persone. Il che non è sempre un bene. Anzi.

Chi tenta di riformare la scuola passa sempre delle rogne, si diceva.

Ottobre è alle porte ma prima ci saranno le mobilitazioni settembrine.

Renzi ha riposto i gessetti. Sulla lavagna ora c’è scritto a lettere cubitali “ Io speriamo che me la cavo.”

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