La piccola Antonella, Tik Tok, i bambini, i ragazzi, i  social. E noi, gli adulti, il garante, gli psicologi, i genitori spesso stimati professionisti eppure “analfabeti” di questo nuovo linguaggio. Si sono dette e sentite molte cose. Poi alla fine uno va a letto la sera e si chiede  “ma io? posso fare qualcosa, io?

Questa è la storia di Emma. Il nome è di fantasia, per il resto è tutto vero. Dalla prima all’ultima riga. Emma ha 14 anni, è di Milano, frequenta una scuola centralissima.  La sua mamma è una professionista e con la comunicazione ci lavora, per dire…

Questa è la storia di Emma vista dai loro punti di vista.

Quello della figlia. E quello della mamma. A ognuno le sue riflessioni/conclusioni.

La figlia

Un giorno un ragazzo mi ha contattata nei direct di Instagram e io, pensando che potesse essere un amico di amici o un parente di amici, ho aperto il suo profilo. La prima cosa che ho notato è che non avevamo nessun follower in comune e la sua descrizione era vuota. Poi mi sono anche accorta che non c’erano sue foto, ma solo generiche. Così ho lasciato perdere e non ho risposto. Qualche giorno dopo però ero in compagnia di una mia amica e, premettendo che non mi sono fatta condizionare perché è sbagliato, ho deciso di rispondere.

Esattamente non so per quale motivo ho deciso
di farlo, forse perché semplicemente nessun 
ragazzo mi aveva mai scritto. 
Forse non è proprio un ragionamento perfetto,
 ma penso che alla mia età sia abbastanza 
normale reagire in questo modo 
anche se la loro esca è proprio questa.

Infatti dopo che ho risposto chiedendo “ci conosciamo?” la sua controrisposta è stata “un amico”: all’inizio l’abbiamo buttata sul ridere e ci chiedevamo se scherzasse, così gli ho chiesto come poteva pretendere che fossimo amici se non avevo la minima idea di chi fosse e gliel’ho di nuovo chiesto, e questa volta anche da dove veniva.

Mi ha detto la sua età e mi ha chiesto la mia ma io non gliel’ho detta, anche perché a quanto pare era più grande di me, anche se viste le caratteristiche del suo profilo non potevo essere sicura che dicesse la verità. Poi ha cercato in tutti i modi di ottenere il mio numero di telefono, soprattutto dicendo che per inviare foto era più comodo usare il telefono in chat. A quel punto ho cominciato a insospettirmi. Non meno strano è il fatto che mi abbia scritto che non aveva neanche una foto recente da farmi vedere, ma che doveva farsi un selfie…

Continuava a insistere per avere il mio numero di telefono e inviami queste foto! Inoltre quando gli ho chiesto in che scuola andasse (in che scuola VAI, non che scuola FAI) lui ha semplicemente risposto con l’indirizzo di studio e a quel punto nella mia testa è scattato qualcosa che mi ha messa in guardia e mi ha fatto capire che non mi dovevo fidare. Poi ho deciso che non gli avrei più risposto ed è passata la notte.

La mattina dopo mia mamma mi ha spiegato che aveva letto la chat e che aveva ritenuto opportuno rispondergli facendogli capire che si trattava di un genitore e che faceva meglio a non scrivermi più. Lui, di botta risposta, ha negato le richieste precedenti e non sapevo se preoccuparmi o mettermi a ridere per la sua incoerenza.

Mia mamma aveva notato anche che le persone che lui seguiva erano soggetti che lasciavano a desiderare, e quindi abbiamo preso una decisione: infatti anche se non aveva esplicitamente inviato o chiesto foto di un certo tipo, non potevamo sapere se più avanti l’avrebbe fatto, per cui dopo aver bloccato il suo profilo siamo andate alla Polizia Postale. Qui si fanno denunce legate a internet e ai social, e i poliziotti hanno guardato la chat, il profilo e le altre informazioni. Inoltre mi hanno chiesto se era la prima volta che questo ragazzo mi contattava e altre cose che potevano a servire.

Una loro considerazione importante che
 mi ha fatto riflettere è stato il dubbio
 che avesse contattato anche altre
 ragazze, che potevano avere risposto
 o meno. Il loro suggerimento è stato
 di non rispondere agli sconosciuti 
online, e abbiamo un esempio calzante:
 è come fermarsi a parlare con
 degli sconosciuti in strada.

Questi avvenimenti forse in fin dei conti sono stati utili perché mi hanno fatto capire come è facile nascondere i pericoli, e sono contenta che sia andato tutto a buon fine.

 Quindi una cosa che dico a tutte le ragazze
 è questa: non dovete arrabbiarvi con i vostri
 genitori se vi controllano il cellulare 
e non dovete dire loro che siete abbastanza
 grandi da arrangiarvi, perché spesso
 ci rendiamo conto troppo tardi che
 non è così. Anzi, dovreste essere fiere
 del fatto che vi  controllano: 
capite quanto sono attenti a voi
 e potete anche sentirvi molto
 più sicure.

La mamma

“Sono sempre stata scrupolosa ed attenta nello spiegare ai miei figli quali siano i pericoli nell’era dei social networks. Alla consegna del primo cellulare ho preteso come condizione imprescindibile di averne accesso, di poter leggere le loro chat e vedere i programmi da loro utilizzati. Mancanza di fiducia? No. Allora mancanza di rispetto della privacy? No. Consapevolezza di quello che accade fuori. Paura degli altri. Sì, paura. Mi sono ritrovata ad imparare l’utilizzo di alcune App chiaramente dedicate alla “socializzazione” di età adolescenziale, mi sono ritrovata a dover dedicare ore al controllo, ore a spiegare loro come possono essere  rintracciati, adescati, bullizzati o ridicolizzati e sputtanati (mi sa che non si può dire…) online.

Non sempre ne avevo voglia, ma non volevo rischiare che i miei figli potessero postare foto o commenti che potessero in qualche modo generare attenzioni non desiderate. Non ci sono messaggi che si autocancellano o foto che scompaiono in 24h. Loro sanno esattamente cosa fare per salvare tutto e poi poterlo inviare, condividere ecc, anche contro il volere di chi in maniera inconsapevole ha dapprima pubblicato. Vedo foto o profili di adolescenti che mi spaventano per i contenuti decisamente non adatti (onestamente nemmeno ad altre età) ahimè quasi esclusivamente di ragazzine in atteggiamenti procaci.

Inorridisco e mi chiedo non solo perché lo fanno e se non si rendono conto dell’immagine che ne deriva, ma dove siano i genitori. Un social oggi lo abbiamo direi quasi tutti, ma non guardano cosa pubblicano i figli? E non mi si dica di pensare ai fatti miei, perché non solo può accadere oggi a me e domani a te, ma perché i ragazzi si confrontano con gli amici, fanno parte di gruppi ed hanno una loro rete sociale. Se molti hanno certi atteggiamenti, anche molti altri cercheranno l’emulazione. E chissà perché l’esempio più sfrontato è quello che attrae maggiormente. Ne deriva una catena che coinvolge altri ragazzi. Ecco perché mi permetto di pensare ai genitori altrui.

I miei figli hanno sempre accettato che noi genitori potessimo visionare i loro cellulari ed i loro social, e fino a qualche tempo fa era sempre andato tutto bene. Poi un giorno quella piccola notifica sullo schermo mi mostra due parole che catturano al volo la mia attenzione: telefono e foto.

Col cuore in gola ho aperto i messaggi. Non erano messaggi in chat basata sul numero di telefono, ma all’interno di una App social, dove quindi sei contattabile anche da chi non ha il tuo numero o nemmeno ti conosce. Uno scambio durato poche ore e di pochi messaggi, che ho letto tutto d’un fiato e poi ho riletto lentamente per analizzare ogni singolo contenuto, le richieste fatte e le risposte date. Il tempo di salvare tutto, di visionare e salvare il profilo dell’altro contatto prima che potesse magari sparire. Il tempo di bloccarlo in modo non possa più scrivere a mia figlia ne ad altri della famiglia.

Ma se dovesse succedere anche a voi non fermatevi qui: in pochi minuti è possibile fare una denuncia online alla polizia postale https://www.commissariatodips.it/collabora.html cosa che ho fatto, ma che purtroppo non consente una formulazione completa. Ho deciso di fare qualcosa in più. Per mia figlia, perché potesse rendersi conto che sarebbe bastato poco in più per generare una situazione grave e spiacevole se non addirittura pericolosa: siamo andate insieme a fare denuncia negli uffici preposti. Un’ora di tempo, di tempo prezioso che magari non si avrebbe voglia di perdere, e invece spesa benissimo: persone che con poche domande le hanno fatto raccontare l’accaduto, le hanno controllato il cellulare, hanno compilato la denuncia con tutti gli allegati che avevo salvato.

Lei si è sentita a suo agio, non spaventata dagli interlocutori, ha spiegato come mai all’inizio ha deciso di rispondere a questi messaggi (accidenti tutte le raccomandazioni fatte non sono state sufficienti!) ma anche cosa l’ha poi insospettita: frasi apparentemente normali ma alle quali fortunatamente non ha abboccato ed anzi ha risposto contraddicendo il richiedente con astuzia, fino ad interrompere i messaggi. Poi i consigli, il comportamento da tenere, ed una frase che è bastata per farle aprire gli occhi e prendere la consapevolezza dei rischi.

Mi ha confidato che alla loro età si sentono abbastanza grandi da arrangiarsi, ma poi spesso si rendono conto troppo tardi che non è così. Ha capito che un adulto legge subito tra le righe di un possibile comportamento anomalo e mi ha ringraziato per tutte le volte che ho impiegato il mio tempo “curiosando” tra i suoi social networks e nei suoi messaggi. All’uscita mi ha confidato di essersi sentita ascoltata, protetta. Sia dalla polizia che da me. Controllate, o meglio affiancate i vostri ragazzi nel mondo delle connessioni virtuali e non. Non sarà mai tempo perso.

 
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