Equitalia a caccia di centesimi
Ci risiamo. Che senso ha parlare di fisco amico se poi siamo costretti a raccontare casi del genere? Mi riferisco alla cartella che Equitalia ha spedito a un contribuente residente all’estero per un debito non saldato sulla tassa dei rifiuti (qui l’articolo che ho scritto ieri).
Dodici pagine di notifica per un importo di 0,12 centesimi. Sì, avete capito bene: 0,12 centesimi. Che, insieme ai 5,88 euro di spese di notifica, fanno 6 euro tondi tondi.
Il contribuente, onesto, ha pagato. Ma resta l’anomalia di un sistema di riscossione che rasenta il ridicolo. Di casi simili se ne trovano a iosa: cartella da 0,2 centesimi (qui l’articolo), cartella da sette centesimi (qui l’articolo) e così via.
Ma adesso mi chiedo: è mai possibile che non ci sia un modo per evitare questi sprechi (iscrivere a ruolo e creare una cartella ha delle spese per lo Stato, e quindi per i contribuenti), per evitare queste assurde disparità tra il debito da saldare e le spese di notifica (che nel caso in questione sono superiori di circa il 500%), e ancora per evitare questi casi, che di sicuro non aiutano a ripulire l’immagine di Equitalia agli occhi dei cittadini?
In realtà il sistema c’è e viene applicato da altri enti di riscossione, ma evidentemente non da Equitalia. In cosa consiste? Si stabilisce un range, un limite (cinque, per esempio) sotto il quale non è possibile creare una cartella nei confronti del debitore. Così facendo si evitano casi di centesimi o di importi irrisori. Si eviterebbe, in realtà. Perché se continuiamo a scriverne vuol dire che come spesso accade in Italia si preferisce complicarsi la vita e complicarla ai contribuenti, piuttosto che semplificarla.
C’è da indignarsi o no?