Questa maggioranza, si sa, non ama particolarmente l’industria degli idrocarburi. I 5 Stelle, dietro il paravento dell’ambientalismo ideologico, si sono particolarmente accaniti e tutte le occasioni sono buone per poter mettere ulteriori paletti all’industria, fino a costringere gli investitori a fuggire a gambe levate dal nostro paese. Una figura di palta che sono i grillini potevano garantire. Quest’anno in legge di bilancio ci hanno riprovato e, con la complicità del PD, è stato presentato un emendamento che sospende per un ulteriore anno i permessi di ricerca e prospezione degli idrocarburi. La mazzata finale, dato che era già tutto fermo. Fortunatamente per via di litigi interni l’emendamento non è andato in porto, ma ci hanno provato, e ci riproveranno ancora non appena sarà possibile.

Ne ho parlato con Giampiero Saini, CEO di Irminio, una media società italiana che si occupa di estrazioni di idrocarburi, con particolare focus sulla Sicilia.

 

Voi di Irminio siete controllati da altri, giusto? 

Noi siamo controllati da un’azienda texana, sono soggetti che hanno investito molti soldi, che hanno speso, per l’acquisizione e per le perforazioni, 100 milioni di dollari. Fino ad ora non è tornato indietro un euro perché li abbiamo solo spesi; gli utili che abbiamo realizzato sono stati utilizzati per ripagare il debito che è stato fatto per l’acquisto, e niente. Noi in Italia invece di attrarre gli investimenti, li facciamo scappare, perché cambiamo ogni giorno le regole. In Sicilia, per esempio, due giorni dopo l’acquisizione da parte degli attuali proprietari di Irminio, hanno raddoppiato le royalties togliendo le esenzioni da un momento all’altro. 

Ma quale governatore? Musumeci?

No, era il 2013. 

Ah, ok, quindi Crocetta

Sì, forse Crocetta. Però fu il M5s ad architettare tutto, fu un blitz perché praticamente era il 29 aprile e se non veniva approvata entro il 30 la finanziaria regionale andavano sotto commissariamento. Nella notte tra il 29 e il 30 i 5 Stelle hanno buttato dentro questo emendamento e l’han fatto passare per far approvare la finanziaria e hanno raddoppiato le royalties da un giorno all’altro. In questo paese manca la certezza del diritto: se io faccio un investimento che mi costa 20 milioni, faccio un business plan e valuto se ho un ritorno economico dal punto di vista imprenditoriale. Se lo Stato o gli enti locali mi cambiano le regole, anche fiscali, in corso d’opera, è chiaro che mi salta il business plan. È chiaro che a quel punto non avendo regole io l’investimento non lo faccio. L’ho fatto una volta, non mi vedi più. 

Invece, per quanto riguarda le compagnie un po’ più grandi, tipo ENI, hanno subito dei contraccolpi?

L’ENI è chiaro che non ha più interesse a lavorare in Italia. L’Italia ormai è un paese maturo, da cui si può tirar fuori molto ma è chiaro che poi se tu provi a paragonare il più grande investimento in Italia con le nuove scoperte fatte sempre dall’ENI in Egitto, parliamo di livelli totalmente diversi. All’ENI non conviene più investire in Italia, conviene investire all’estero. L’ENI, quindi, secondo me queste norme gli fanno anche comodo. 

Basta non toccare Val d’Agri

Io ho questa impressione perché vedo che in Sicilia siamo con ENI Med, la branch siciliana dell’ENI e loro non stanno facendo più nulla da anni. L’esplorazione è stata abbandonata da anni. Stanno gestendo quei tre campi in produzione che son rimasti e basta. 

Ma secondo te che futuro ha l’industria delle medio-piccole società che producono idrocarburi, in Italia? Finiranno tutte nel dimenticatoio? Falliranno? Scapperanno? Perché, a meno che il governo non cambi domani e vada al Governo il centrodestra, mi sembra che il trend da qui ai prossimi due/tre anni sia quello di ammazzarvi…

Qui abbiamo due/tre cose da dire. E’ palese che l’intenzione dei 5 Stelle sia quella di distruggere il prima possibile questo settore. Costi quel che costi, senza preoccuparsi delle conseguenze. È chiaro che finché i 5 Stelle avranno la forza contrattuale a livello di governo per far passare certe norme, ahimè non vedo alcun futuro né per le grandi né per le piccole. Viceversa, se cambiasse il Governo o i rapporti di forza al suo interno e si avesse una pianificazione logica della transizione energetica, in cui il gas, l’idrocarburo che oggi è ancora necessario per il 70% del fabbisogno, venisse utilizzato per accompagnare e anche finanziare a livello sia monetario che di know-how la transizione, a quel punto è proprio per le piccole e medie imprese che si apriranno spazi. Perché gli investimenti ormai sono marginali, a fine vita, non interessano a ENI o ai grandi operatori ma per le piccole imprese possono essere molto interessanti. Voglio dire anche un’altra cosa: se il gettito delle royalties invece di essere dedicato a finanziare la tessera benzina per i residenti della Basilicata fosse utilizzato per creare un fondo sovrano per studiare fonti energetiche nuove e rinnovabili avrebbe un senso. Voglio dire, qui si fa la transizione ma non si è mai scritto, ma proprio mai, un qualsiasi tipo di normativa o di regolamento o di piano che possa stimolare questa transizione. Il gas invece può essere un vettore per accompagnare e stimolare la transizione; la politica invece che portano avanti è quella del vegetariano che ammazza la vacca ma che non non ha neanche nemmeno piantato l’orto. 

A me sembra veramente, questa visione a corto termine, da pazzi. Per cui si pretende di poter portare avanti un paese di 60 milioni di abitanti, ma anche la comunità europea, con le pale eoliche e con i pannelli solari, senza pensare al gas. Ora io non ho presente se nel Recovery fund verrà finanziato anche il gas, non lo so. Secondo me sì, secondo me alla fine prevarrà il pragmatismo dei paesi di Visegrad. Però qua la situazione è drammatica. 

Non solo in Europa ma anche in Italia in teoria il gas ha un ruolo fondamentale. Lo dice anche il piano energetico nazionale fatto dai 5 Stelle. È quindi assolutamente incoerente voler bloccare l’attività, o meglio: nel piano energetico, c’è scritto che il gas contribuirà fino al 2040/2050 per il 50% del fabbisogno. Però precisa che è gas d’importazione. È quindi una follia perché importare gas comporta anche maggiori costi ambientali, per non parlare di quelli economici, perdita di posti di lavoro, di gettito fiscale, ecc.

Per non parlare poi del costo geopolitico nell’importare gas e dipendere da paesi come la Russia, l’Egitto, la Libia, la Tunisia. Paesi che sono geopoliticamente instabili. Quindi si è soggetti alle fibrillazioni politiche interni di paesi che non si possono controllare. Su cui l’Italia non ha un minimo di influenza. 

Noi ci siam dimenticati delle crisi che si sono succedute negli anni passati. Come quando ad esempio l’Ucraina bloccò il flusso di gas dalla Russia, o quando l’Algeria, per un periodo fermò le forniture, la Libia l’abbiamo visto è instabile. Se oggi dipendiamo al 70% da importazioni domani lo saremo ancora di più, gioco forza alla prima crisi fermiamo il paese. Noi di questo fabbisogno non tanto abbiamo bisogno per riscaldare le case ma è necessario per mandare avanti le industrie. Noi rischiamo veramente di bloccare il paese alla prima crisi seria. 

Voi quindi, come Irminio adesso, che prospettiva avete? Ve ne andrete? 

La Irminio spera di poter ricominciare a lavorare appena si potrà riprendere perché è antieconomico oggi produrre, la crisi economica ha portato il petrolio a 11$ ci ha distrutto a livello finanziario. Non ho avuto alcun supporto da parte dello Stato, e solo sulla concessione Irminio quest’anno ho prodotto 1,2 milioni euro di perdite. A un certo punto la cassa è finita e ho dovuto mettere persone in cassa integrazione. Però spero di riaprire a gennaio. 

Gli shareholders americani, invece? Voglio capire. Tu sei italiano, capisci quindi i meccanismi della politica in Italia, sei abituato. Quando alzi la cornetta e devi chiamare Houston per spiegargli che stanno facendo robe del genere in un paese occidentale, come fai? 

E’ difficilissimo spiegare queste cose così che loro possano comprenderle. Perché teniamo presente che in Texas, per esempio, puoi ottenere l’autorizzazione a fare il pozzo petrolifero senza problemi

Il Texas è proprio il selvaggio west, che per me è ottimo. 

Lo era perché adesso lo è di meno perché anche lì le autorità ti controllano e tutto però per fare un pozzo l’autorizzazione nella peggiore delle ipotesi la ottieni in 4 settimane, qui per fare un procedimento di via passano 2 anni. 

Quanta difficoltà fai a farglielo capire? 

La difficoltà è immensa, tant’è che loro poi dopo tutti questi anni di speranza, pazienza e tutto alla fine mi hanno detto: “Basta, chiudiamo i rubinetti”. Qui è una remissione continua: io metto soldi oggi e non so neanche se domani posso produrre o riprendere gli investimenti. 

Loro hanno anche dei pozzi in Texas, qual’è la differenza tra il rendimento di un pozzo in Texas e quello di un pozzo in Italia?

Intanto lì non ci sono le royalties, e quello è già un 20% di fatturato secco in più. Poi le normative sulla sicurezza sono un po’ più lasche, quindi hanno meno costi legati alla gestione, qui in Italia il nostro settore è altamente regolamentato e ai costi molto molto alti perché bisogna garantire dei livelli di sicurezza che costano. E poi loro sono proprietari del terreno e di tutto quanto c’è sopra e sotto, mentre qui sei concessionario. E quindi loro nel momento in cui scende il prezzo del petrolio, lo chiudono, lo aprono e aumentano gli influssi, possono quindi fare come vogliono. Qui in Italia invece ogni volta che devi mettere mano devi essere autorizzato perché non è roba tua. E a volte quindi sei costretto a produrre anche in perdita. 

Ne ho parlato anche in questo podcast:

Ascolta “Questo governo di comunisti vuole distruggere l’industria degli idrocarburi” su Spreaker.

 

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