Per stanare la ‘ndrangheta basta seguire i soldi
Follow the money, segui i soldi. E così il comando provinciale della Guardia di Finanza di Roma ha scoperto un giro di trafficanti di cocaina composto da colletti bianchi, manager, funzionari di banca e diplomatici. Il meccanismo era semplice: fiumi di denaro ricavato in pochimesi dallo spaccio di cocacina sulla piazza romana arrivata via mare in container destinati ai porti di Gioia Tauro, della Germania, del Belgio e dell’Olanda finiva a Lugano (gli inquirenti hanno rintracciato 1,4 milioni di euro) grazie alla complicità di alcuni diplomatici congolesi, passava dalle mani di narcotrafficanti’ndranghetisti a quelle di un manager incaricato di trasformare gli euro indollari e trasferirli, tramite bonifici, a un istituto di credito brasiliano.
L’inchiesta ha portato al sequestro di oltre mille chili di stupefacente e all’arresto di 19 persone accusate di spaccio internazionale e riciclaggio. A garanzia del pagamento della sostanza il figlio di uno degli indagati veniva trattenuto come «ostaggio» in un albergo brasiliano e poi «liberato» all’accredito dei bonifici provenienti dalla Svizzera. «Si tratta di una cellula romana della ’ndrangheta stabilizzata da tempo a Roma», dicono gli inquirenti.
È l’ennesima conferma dello strapotere – anzi del sostanziale monopolio – della ‘ndrangheta nel traffico di cocaina. L’operazione segue di pochi giorni l’operazione Santa Fe e la rete scoperta dal Gico della Guardia di Finanza di Catanzaro coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, con la collaborazione della Dea americana e della Guardia civil spagnola: anche in quel caso la cocaina acquistata dalla ’ndrangheta in Colombia arrivava in Europa ma stavolta anziché nei container veniva caricata a bordo di grandi barche a vela grazie all’accordo tra le famiglie calabresi Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Ionica, Alvaro di Sinopoli e Pesce di Rosarno e un esponente di spicco dell’organizzazione paramilitare colombiana Farc.
Per il Procuratore aggiunto Nicola Gratteri la ’ndrangheta è «senza dubbio l’organizzazione mafiosa leader nel rapporto con i narcos e i cocaleros del centro e del Sud America. In quella parte di continente americano, ha da tempo insediati i propri uomini di fiducia, giovani ’ndranghetisti diventati affidabili agli occhi dei narcotrafficanti per il grado altissimo di solvibilità».
Ma la ‘ndrangheta, per comandare, ha anche bisogno della politica. E per stanare le cosche bisogna scendere in Calabria e riprendersi quel territorio controllato militarmente – anche dal punto di vista elettorale – dalle famiglie di mafia. Se n’è accorta anche la commissione Antimafia, che lunedì – Rosy Bindi in testa – sarà in Calabria per una giornata di incontri istituzionali. In programma c’è anche un incontro con la Conferenza episcopale calabra dopo la durissima Nota pastorale sulla ndrangheta diffusa il 25 dicembre 2014.
A Reggio Calabria ormai da qualche mese c’è anche il processo che vede alla sbarra l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola e Chiara Rizzo, moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato in via definitiva a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa e latitante a Dubai. Al processo nei confronti di lady Matacena e di Scajola, accusati di avere favorito la latitanza dell’ex deputato reggino di Forza Italia è andato in scena un durissimo scontro tra accusa e difesa. Colpa di un teste dell’accusa presente durante la deposizione dell’ex numero due della Dia reggina Nando Papaleo, uomo chiave del pm Giuseppe Lombardo nell’indagine su Scajola e in quelle sui rapporti tra Lega e ‘ndrangheta. Il difensore della Rizzo Bonaventura Candido se ne è lamentato con il presidente della corte, il pm ha rinunciato al teste ma la polemica non si è affatto spenta, anzi.
Ad assistere al battibecco c’era anche uno dei membri dell’Antimafia, il parlamentare Pd Davide Mattiello, che da tempo chiede l’estradizione di Matacena: «Bisogna leggere quello che sta emergendo in questo processo con gli sviluppi a Roma di Mafia Capitale e con il rinvio a giudizio di Umberto Bossi e dell’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito che faccia anche luce sulle pressioni indebite denunciate dall’ex capo centro dell’Aise ad Abu Dabhi sulle tutele a Matacena – ha detto Mattiello – sono convinto che esista una unica rete di alleanze, capace di mettere in relazione ’ndrangheta, imprenditori, politici, estrema destra e centri di potere istituzionale. A unire questi punti non può essere soltanto la magistratura».