Come volevasi dimostrare. Neanche l’Emilia rossa si è accorta in tempo che la ‘ndrangheta aveva ormai contaminato l’ormai ex feudo comunista. Oggi si scopre che Fernando Ferioli, il sindaco di Finale Emila (comune simbolo del sisma) era stato pericolosamente avvicinato dai boss calabresi. E sul Comune si allunga l’onta dello scioglimento per infiltrazioni mafiose.

Secondo la Gazzetta di Modena infatti la commissione d’accesso nominata lo scorso giugno dal prefetto di Modena, Michele Di Bari, avrebbe suggerito l’ipotesi peggiore. Un fulmine a ciel sereno? Mica tanto. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna che lavorano all’inchiesta Aemilia avevano già puntato il dito contro l’allora responsabile comunale dei Lavori pubblici, Giulio Gerrini, finito agli arresti domiciliari (poi revocati) con l’accusa di abuso d’ufficio per aver favorito la ditta Bianchini Costruzioni di San Felice sul Panaro, che a sua volta avrebbe fatto gestire i cantieri al presunto boss Michele Bolognino, arrestato come uno dei promotori dell’associazione mafiosa.

Il paese come è normale sta con il sindaco che «si sarebbe fidato delle persone sbagliate», lui si difende dicendosi prigioniero di un incubo «per essere stato accostato a certe cose». Ferioli non è il primo esponente democrat ad essere finito nel mirino dei pm antimafia «a sua insaputa», c’è chi come il ministro dei Trasporti Emiliano Delrio era stato addirittura citato dal magistrato che indaga sulle cosche in Emilia per quel suo viaggetto a Cutro, città natale del boss Nicolino Grande Aracri per non dire del sindaco di Brescello che si era sperticato in inopportune lodi per uno stretto congiunto dello stesso Grande Aracri (di cui poi si sarebbe pentito, nda)», come aveva ricordato il ministro dell’Interno Angelino Alfano commentando qualche mese fa le voci sul possibile commissariamento dei comuni emiliani toccati dalle indagini.

Fare spallucce, sentirsi prigionieri di un incubo per una stretta di mano sbagliata, commettere l’errore di difendere personaggi influenti ignorando le accuse di mafia nei loro confronti pur di accalappiare qualche voto è il modo peggiore per combattere la ‘ndrangheta. È anche per questo atteggiamento, tipico dei politici del Nord che pensano di essere più furbi di qualche boss straccione, che la ‘ndrangheta ha avuto vita facile. La battaglia non è ancora persa, ma non c’è più solo il Sud da strappare alle grinfie dei boss calabresi. È ora che l’Antimafia guidata da Rosy Bindi si faccia un bel viaggetto da quelle parti. È ora che il governo si svegli, inziando a dare l’esempio: magari  commissariando il comune di Roma per Mafia Capitale. Punirne uno per educarne cento.

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