Quando la mafia tratta col “nemico”, da Contrada all’Isis
Si fa un gran parlare da giorni di una presunta trattativa tra mafia, camorra e ‘ndrangheta e l’Isis. Bufale o verità? È vero che l’Isis ha paura di fare un dispetto alle cosche e dunque si tiene lontan dal Sud? È vero che le mafie controllano così capillarmente intere zone del Mezzogiorno da sapere in anticipo eventuali movimenti sospetti? Certo, a sentire il vicepresidente della commissione Antimafia Claudio Fava («in Sicilia è la mafia a tenere lontano l’Isis») l’ipotesi appare plausibile, tanto che il segretario Idv Ignazio Messina chiede spiegazioni: «Messaggio di una gravità assoluta, si rischia di diffondere un messaggio devastante. Che Fava avvalori in qualche modo l’equazione “grazie alla mafia si può stare più tranquilli” degrada il ruolo dello Stato a comprimario e si assegna alla mafia, e per analogia anche delle altre organizzazioni criminali, quello di fattore in grado di rassicurare i cittadini».
Ma perché, qualcuno ha il coraggio di dire il contrario? L’idea che mi sono fatto io è che la ‘ndrangheta – come la mafia e la camorra – è una specie di holding del crimine a cui pezzi di Stato offrono qualche coperture in cambio di lavoretti sporco, da Moro a Calvi, da via d’Amelio alla strage di Bologna con l’aiutino di qualche uomo della terra di mezzo. E anche le forze dell’ordine sono piene di Giuda, e se è vero quello che scrivono i giudici milanesi nella sentenza Infinito ancora oggi nella Dia di Milano c’è una talpa che avverte i calibri da 90. Come l’ex 007 Giovanni Zumbo di cui ho scritto più volte o come Bruno Contrada.
Già, l’ex dirigente del Sisde condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa che ha vinto due ricorsi a Strasburgo contro l’Italia sul reato di associazione a delinquere ( il verdettoè illegale in quanto sino al ’94, periodo a cui si riferivano i fatti contestati a Contrada, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non era sufficientemente chiaro) ha parlato al mensile Crimen un’intervista esclusiva molto interessante. Sulla trattativa Stato-mafia dice di essersi fatta un’opinione: «Io non credo che ci sia stato un do ut des, delle persone sedute al tavolo che hanno deciso il da farsi. Dopo che la Cassazione aveva reso definitive le condanne del maxiprocesso, ci fu il delitto Lima, la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. Credo che a quel punto all’interno di Cosa Nostra si cercasse di porre rimedio a quella sentenza, decidendo se optare per un compromesso politico o proseguire nelle stragi. E che vinse questa seconda tesi, tanto che poi si ebbero le bombe del ’93. Allo stesso tempo in politica si cercava di capire come arginare il pericolo di nuovi attentati. Credo che l’ex ministro Conso lo spiegò bene: le scarcerazioni di personaggi perlopiù di secondo piano furono un’iniziativa sua, per stemperare la tensione nei penitenziari. In qualsiasi caso ritengo che questi processi avranno alla fine un valore storico, più che giudiziario».
Mentre se c’è un latitante da proteggere o un politico da aiutare, ecco che scatta una Spectre mondiale, di cui secondo le indagini farebbero parte l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola e Marcello Dell’Utri (che invece il ricorso a Strasburgo sul 416bis l’ha perso). Se c’è un boss che rompe, o semplicemente se serve carne da macello per le aule di giustizia tac, ecco che scatta l’indagine madre. I pezzi grossi qualcuno li avvisa, a volte in tempo, a volte troppo tardi. E se non basta c’è qualche magistrato compiacente. Come il giudice Giancarlo Giusti, condannato in via definitiva e che per questo si è ucciso. Ci sono dei magistrati che si sono fatti corrompere, altri a cui arrivano soffiate ad hoc. Chi accusa le toghe finisce nei guai. Magari è solo fango, come nel caso dell’ex sostituto procuratore generale di Reggio Calabria Francesco Mollace, accusato di corruzione in atti giudiziari perché avrebbe favorito la cosca Lo Giudice in cambio di un occhio di riguardo per la sua barca ormeggiata in un cantiere gestito da Antonino Spanò, ritenuto prestanome della stessa cosca Lo Giudice. Una cosca che anche secondo il pm Alberto Cisterna non esiste più. Sta di fatto che il senso e l’importanza di alcune operazioni giudiziarie, da Reggio Calabria a Milano, è forse tutta da ripensare. Perché la ‘ndrangheta e la mafia da sempre trattano con lo Stato. E noi stiamo a preoccuparci dell’Isis…
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