Boia chi molla, e la ‘ndrangheta non molla davvero. A volte ritornano personaggi come Paolo Romeo, ex politico Psdi già condannato per concorso esterno per ‘ndrangheta di cui avevamo già parlato. C’è una letteratura giudiziaria che lo riguarda e che lo vuole, allora come oggi, al centro delle trame che hanno deciso il destino di Reggio e della Calabria. Negli anni Settanta era legato ai moti del ’70 per Reggio capoluogo, guidati dalla destra neofascista al grido di Boia chi molla, di cui faceva parte (l’11 gennaio 1980 fu arrestato per favoreggiamento nella latitanza di Franco Freda e scarcerato il successivo 22 aprile) salvo poi buttarsi a sinistra e passare nel 1981 il Psdi grazie al quale fu in grado di scalare la vita politica reggina arrivando alla Camera dei deputati nel 1994 nonostante da qualche mese fosse indagato perché uno dei pentiti storici della ‘ndrangheta lo aveva indicato tra i mandati nel 1970 della strage di Gioia Tauro, fu arrestato e poi prosciolto qualche anno dopo.

Solo il 12 ottobre del 2000 arrivò la condanna in Cassazione a cinque anni di reclusione (poi ridotta a tre). Ne avevamo parlato anche in occasione dell’inchiesta Breakfast perché considerato (solo per poco tempo) protagonista assieme all’ex ministro Claudio Scajola della lobby affaristico-‘ndranghetistico-massonica che avrebbe aiutato la latitanza del deputato Amedeo Matacena jr, anch’egli condannato per ‘ndrangheta. La prova del suo collegamento, tutto ancora da dimostrare, sarebbe in una intercettazione ambientale registrata il 5 novembre 2011 nel suo studio, in cui Romeo dice a un interlocutore: «Parliamoci chiaro, se tu puoi costruire su Matacena l’ipotesi di una sua candidatura è buona… eppure che esce Matacena parlamentare europee è già una cosa che si entra, diciamo, i meccani… in finanziamenti… cioè uno può fare l’ira di Dio poi và… qua con i finanziamenti pubblici, una serie di agganci… le cose perchè tu, tieni conto, che poi dopo le Europee ci sono le Regionali».

 

Ma Romeo è importante anche perché secondo la procura di Palermo (anche qui pende una richiesta di archiviazione) assieme a Totò Riina, ai fratelli Graviano (al centro della presunta trattativa Stato-mafia), a Nitto Santapaola e a Stefano delle Chiaie avrebbe «promosso, costituito, organizzato, diretto e/o partecipato ad un’associazione, promossa e costituita in Palermo anche da esponenti di vertice di Cosa Nostra, ed avente ad oggetto il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine costituzionale, allo scopo – tra l’altro – di determinare, mediante le predette attività, le condizioni per la secessione politica della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia, anche al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa Cosa Nostra e di altre associazioni di tipo mafioso ad essa collegate sui territori delle regioni meridionali del Paese». Una matassa i cui fili porterebbero a Milano e all’inchiesta sui rapporti tra la Lega Nord e la ‘ndrangheta.

Romeo è stato di nuovo arrestato in un’inchiesta che vede coinvolti imprenditori, politici, magistrati e anche un sacerdote (don Pino Strangio, parroco di San Luca in Aspromonte e canonico del Santuario della Madonna di Polsi, luogo caro alla ‘ndrangheta) perché sarebbe il capo di un cartello di «colletti bianchi» che secondo i pm avrebbe «condizionato» molte attività economiche «manipolandone» la gestione con la complicità di funzionari pubblici. Il cuore dell’inchiesta riguarda la grande distribuzione alimentare, da tempo nelle mani della ‘ndrangheta come hanno dimostrato alcune inchieste.

Se l’impianto accusatorio dovesse reggere ancora una volta si dimostrerebbe che la ‘ndrangheta è diventata la holding criminale internazionale più potente al mondo soprattutto grazie alla rete di protezione di cui gode in Calabria. In uno scenario del genere la politica non sa far altro che balbettare di antimafia e legalità. E i boss, finché possono, se la ridono…

Tag: , , , , , , ,