Ventiquattro ore senza hamburger negli Stati Uniti: i lavoratori dei fast-food di ben 100 città protestano contro quelle che definiscono “paghe da fame”: 7,25 dollari l’ora (pari a 5,3 euro), equivalenti al salario minimo federale. Sulla questione è intervenuto anche il presidente Barack Obama, chiedendo al Congresso di innalzare la paga minima ad almeno 10,10 dollari all’ora (7,39 euro). Ma chi lavora nei fast-food ne chiede almeno 15 (10,98 euro). Non è la prima volta che i fast-food chiudono per una rivendicazione salariale: il primo “sciopero degli hamburger” era stato fatto l’estate scorsa in alcune città, ma la partecipazione era stata bassa. La protesta in realtà era partita nel novembre 2012, limitatamente a 20 ristoranti di New York. Piano piano si sta allargando. La speranza di chi ogni giorno frigge chili e chili di patatine e farcisce panini è quella di far crescere il movimento, portando all’insù l’asticella del salario. Vedremo come andrà a finire.

Intanto a Washington e nell’intero District of Columbia è stato votato all’unanimità un innalzamento graduale del salario minimo dagli attuali 8,25 dollari l’ora a 11,50 dollari entro il 2016. Nella vicina Virginia, invece, si è ancora fermi ai 7,25 dollari l’ora. Ma nel resto degli Stati Uniti come va? La paga minima è stata alzata solo in New Jersey (8,25 dollari l’ora), in California (10 dollari) entro il 2016 e nell’area nello Stato di Washington in cui si trova l’aeroporto di Seattle-Tacoma a ben 15 dollari l’ora (la stessa somma rivendicata dai lavoratori dei fast-food in tutti gli States).

Chi volesse approfondire l’argomento può dare un’occhiata ai siti internet di questi due gruppi di protesta: Fast Food ForwardFight for 15.

 

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