Obama e la guerra all’Isis
Negli Stati Uniti la Costituzione (articolo 1 sezione 8) e la War Powers Resolution affidano al Congresso il potere di inviare truppe per combattere. De facto questo potere è affidato al presidente, capo delle forze armate (Commander-in-chief) e titolato a intraprendere e condurre le operazioni militari. Fatta questa doverosa premessa, veniamo alla notizia: Barack Obama ha chiesto al Congresso un’autorizzazione formale per combattere l’Isis: lo ha fatto con un testo inviato alle Camere, in cui si domanda l’approvazione dell’uso della forza, escludendo un’offensiva duratura con le truppe di terra”e ponendo un limite temporale di tre anni. Per il presidente l’approvazione del Congresso sarebbe un importante gesto simbolico per rafforzare la battaglia contro l’Isis, “una grave minaccia per il popolo e la stabilità dell’Iraq, della Siria, dell’intero Medio Oriente e per la sicurezza nazionale americana”. Obama ha aggiunto che se l’Isis non verrà contrastato (e sconfitto) “porrà questa minaccia non solo in Medio Oriente, ma anche nel nostro territorio nazionale”.
Scontata l’approvazione da parte del Congresso? In linea di massima sì, perché tutti considerano prioritario battersi contro i terroristi tagliagole dell’autoproclamato Stato islamico. Ma ci sono significative divergenze tra Repubblicani e Democratici. Per lo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, il testo non darebbe “ai comandanti militari la flessibilità e l’autorità di cui hanno bisogno per avere successo e proteggere il nostro popolo”. “Se andiamo per sconfiggere il nemico, abbiamo bisogno di una strategia militare completa e di una vigorosa autorizzazione – ha aggiunto – non di una che limiti le nostre opzioni”. Insomma, se si va alla guerra non si può partire con le armi spuntate.
Nella conferenza stampa alla Casa Bianca Obama ha spiegato il senso della propria iniziativa: “Questa è una missione difficile e lo resterà per un po’ di tempo, ma la nostra coalizione è all’attacco, mentre l’Isil è sulla difensiva e perderà”. Dopo avere fatto un breve riassunto dei successi della coalizione internazionale contro gli estremisti islamici, il presidente ha descritto alcuni dettagli della risoluzione che ha presentato al Congresso per chiedere l’autorizzazione dell’uso della forza militare contro i militanti in Iraq e Siria. “Abbiamo ascoltato democratici e repubblicani al Congresso per stilare la risoluzione. Continueremo a farlo anche nei prossimi giorni e la risoluzione potrà diventare ancora più forte con il sostegno bipartisan”, ha detto Obama, accompagnato dal vice presidente Joe Biden, dal segretario di Stato John Kerry e dal segretario alla Difesa uscente Chuck Hagel. Il presidente ha puntualizzato che la risoluzione prevede solo missioni di bombardamento aereo, addestramento ed equipaggiamento delle truppe irachene e dei combattenti curdi. Non è prevista, invece, una nuova invasione di terra come quella del 2003: “Un’operazione di terra non è nostro nell’interesse della nostra sicurezza nazionale e non è utile per distruggere l’Isis”. L’uso della forza militare, ha poi aggiunto il presidente, sarà limitata a tre anni, poiché “non vogliamo uno stato di guerra perpetua”.
Obama ha chiuso il suo intervento mostrando i muscoli: “La nostra coalizione è forte, la nostra causa è giusta e la nostra missione avrà successo. I terroristi che affrontiamo oggi saranno distrutti e dimenticati”. Abbastanza duro (ed efficace?) o troppo molle e inconsistente? Il dibattito negli Stati Uniti è aperto.
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La richiesta del presidente va incontro a quei democratici che non vogliono un nuovo coinvolgimento americano in un conflitto dalla durata e dagli sviluppi imprevedibili, ma risponde (almeno in parte) anche ai repubblicani, che spingono invece per un’azione più forte e decisa. L’esortazione all’unità sembra fare presa, anche perché Obama ha spiegato ancora una volta di avere già l’autorità per condurre la guerra contro l’Isis (come sta facendo da sei mesi) in base all’autorizzazione concessa dal Congresso nel 2002 a George W. Bush per la guerra in Iraq. Tra l’altro la nuova richiesta formulata da Obama farebbe decadere quel documento. “Non sono d’accordo sulla politica estera del presidente”, ma “i nostri nemici e i nostri alleati devono sapere che parliamo con una voce sola”, sottolinea il deputato repubblicano Jeff Falke. Votare la richiesta “è la cosa giusta da fare”, gli fa eco il senatore Mark Kirk.
Tuttavia, scrive il New York Times, la discussione potrebbe durare mesi prima di arrivare al voto e diversi ostacoli potrebbero arrivare dai democratici, che temono il linguaggio troppo generico del testo. In particolare l’espressione secondo cui l’autorizzazione non consente “operazioni offensive di combattimento a terra durature”, che secondo alcuni lascia troppo spazio alle interpretazioni. Nella sua lettera ai parlamentari, il presidente afferma che l’autorizzazione che propone “fornirà la flessibilità necessaria per condurre operazioni a terra in limitate circostanze”, come interventi di salvataggio o blitz delle forze speciali contro la leadership dell’Isis, o l’uso di forze a terra per la raccolta di informazioni di intelligence e l’individuazione di obiettivi da colpire. Allo stesso tempo, sapendo di toccare un nervo ancora scoperto, Obama precisa anche che il documento “non autorizza operazioni su larga scala e a lungo termine come quelle che la nostra Nazione ha condotto in Iraq e Afghanistan”.