La ricetta di Jeb Bush per la Casa Bianca
“Il mio obiettivo da presidente è una crescita economica del 4% che generi 19 milioni di nuovi posti di lavoro“. Jeb Bush parte subito in quarta nel giorno in cui annuncia ufficialmente, al Miami Dade College, la sua corsa per la presidenza degli Stati Uniti.
“Il partito adesso alla Casa Bianca non vuole cambiamenti e vuole mantenere il potere, andare avanti sotto un nome diverso con lo stesso programma” ma “io e voi sappiamo che l’America merita di meglio”. “Non voglio vedere altri quattro anni che non riesco a immaginare con questo tipo di leadership” allora “chiedo cosa dobbiamo fare? La domanda per me è cosa farò io e io ho deciso: sono candidato alla presidenza degli Stati Uniti d’America”. Indica la malattia e si propone come medicina. “Ci hanno offerto un’agenda progressista che conteneva tutto meno che progresso. Abbiamo avuto uno Stato sempre più disciplinare, un aumento di tasse per la classe media e l’esercito che in questo momento ha difficoltà economiche”.
“Ci riprenderemo in mano futuro e ci metteremo in piedi”. È questa la promessa dell’ex governatore della Florida. “Faremo in modo che le opportunità siano per tutti. Ci riprenderemo Washington, che tornerà a essere dalla parte giusta, cioè quella che promuove libertà per tutti americani. So che possiamo farcela perché io già l’ho fatto”, ha concluso facendo riferimento alla sua sperienza di governatore della Florida. Rivendica il suo operato da governatore: “Sono stato un governatore riformatore, non semplicemente un altro membro del club. Non si sfugge alle responsabilità quando si è governatore, non ci si mimetizza nella folla legislativa”.
Parlando a Miami non poteva mancare un riferimento a Cuba. “Novanta miglia a sud da qui si parla di una visita di stato da parte del nostro presidente. Ma non c’è bisogno di un turista adulato che vada all’Avana a sostegno di un fallimento per Cuba. C’è bisogno di un presidente americano che vada all’Avana per solidarietà con un popolo cubano libero e io sono pronto ad essere quel presidente”.
Bush critica l’ex segretaria di Stato Hillary Clinton: “Con la loro politica estera delle telefonate la squadra Obama-Clinton-Kerry sta lasciando un’eredità di crisi non arginata, violenza a cui non ci si è opposti, nemici senza nome, amici indifesi e alleanze che si disfano”. Bush promette invece di “ricostruire le nostre forze armate” e rinnovare gli stretti legami con Israele e altri storici alleati.
“Con le risorse che ha il Nord America e l’ingegno americano – annuncia Bush – possiamo finalmente raggiungere la sicurezza energetica per questa nazione”. E promette: “Può essere fatto in cinque anni”.
Il discorso del candidato repubblicano viene costantemente interrotto dagli applausi e da slogan di incitamento, come “Jeb go!”. Bush si rivolge alla folla in spagnolo, omaggiando la moglie messicana e puntando direttamente all’elettorato latino: “Sarò ottimista in ogni lingua – ha concluso – e non darò nulla per scontato. Correrò con il cuore e con il cuore vincerò”.
C’è stata qualche polemica sulla scelta di Bush di omettere il cognome dal logo della sua campagna elettorale (Jeb! 2016). Lui ha voluto allontanare ogni minimo dubbio circa la presunta presa di distanza dalla famiglia e si è fatto fotografare mentre parlava al telefono con il padre, l’ex presidente George H. W. Bush, poco prima dell’annuncio ufficiale sulla sua discesa in campo. Ed è stato lui stesso a postare la foto su Twitter mentre parla al telefono con il padre, ripreso di spalle, di fronte ad uno schermo con la bandiera americana. Bush padre non era presente all’evento di Miami così come il fratello, l’ex presidente George W. Bush. In compenso sono rappresentate quattro generazioni di donne della famiglia: la mamma Barbara Bush, seduta vicino all’aspirante first lady Columba Bush, la nuora Sandra Bush e la nipotina, Georgia Helena Walker Bush. La famiglia resta un caposaldo. E in prima fila stavolta ci sono le donne.
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