armi_usaLa strage all’Umpqua Community College dell’Oregon (9 morti) ha riportato in primo piano il dibattito sulle armi, che divide la politica staunitense in modo trasversale. Il presidente Obama ha rispolverato il suo cavallo di battaglia: “Non ci sono leggi sufficienti sul controllo delle armi”. Ed ha aggiunto, sconsolato, che “questa (tragedia, ndr) sta diventando una routine. Stiamo diventando insensibili a tutto questo”. Poi ha ammonito i propri cittadini: “Le preghiere non bastano più”. Invocando una legge di buon senso sulle armi da fuoco. Ma ha ammesso di avere le mani legate: “Non posso cambiare le cose da solo, senza il Congresso, senza i governatori. Spero di non dover tornare di nuovo qui durante il mio mandato da presidente per fare le condoglianze a tante famiglie, a tante madri. Ma se guardo all’esperienza passata, non posso garantirlo”.

La tragedia dell’Oregon irrompe anche sulla campagna elettorale. Donald Trump non ha dubbi che se gli insegnanti fossero stati armati, avrebbero potuto proteggere gli studenti rimasti uccisi nella sparatoria. Durante una tappa della sua campagna elettorale a Franklin, nel Tennessee, il candidato repubblicano ha ricordato un tema caro alla destra Usa (ma non solo), a difesa del secondo emendamento, quello che protegge il diritto di possedere un’arma. “Era una zona dove non c’erano pistole”, ha detto Trump. “Se ci fossero stati un paio di insegnanti o qualcuno armato in quella stanza, sarebbe stato meglio”. In un altro intervento pubblico Trump aveva detto che se diventasse presidente non si aspetterebbe di fermare tutte le fucilazioni di massa, “perché ci saranno sempre persone che la società non potrà fermare”.

Hanno destato molte polemiche le parole di un altro candidato alla Casa Bianca, Jeb Bush. Durante un intervento a Greenville, nel sud Carolina, riferendosi alla strage ha detto che “sono cose che capitano”. Subito sono infiammate le polemiche, con i democratici che hanno colto la palla al balzo per massacrarlo. Ma vediamo di preciso cosa ha detto l’ex governatore della Florida: “Viviamo tempi difficili nel nostro Paese e non c’è sempre una soluzione utile del governo alle sparatorie di massa. Ho vissuto anch’io queste situazioni da governatore perché capitano. L’impulso che ci spinge a reagire non sempre è quello giusto”. Travolto dalle critiche Bush si è difeso sostenendo che i suoi commenti non erano riferiti direttamente alla tragedia dell’Oregon: “Nella vita succedono diverse cose… a volte cerchiamo soluzioni ai problemi che non li risolvono, ma tolgono libertà e diritti alle persone”.

Il New York Times si è gettato a capofitto sulla polemica. In un editoriale ha preso di mira i repubblicani dicendo che finora hanno solo offerto condoglianze dopo la strage nell’Oregon, ma non proposte concrete sul problema della vendita delle armi da fuoco. La lobby delle armi “ha una tale presa sul Congresso che ha represso qualsiasi studio sul problema delle armi”. E ancora: “Hillary Clinton continua a chiedere una maggiore sicurezza sulle armi, mentre l’altro candidato democratico, Bernie Sanders, appoggia l’agenda di Obama sul controllo delle armi. I candidati repubblicani dovrebbero affrontare il problema e spiegare quali azioni intraprenderanno se eletti, per evitare di essere i leader di una nazione in lutto”.

Il New York Times, però, non rappresenta tutta l’America. Così come non parla a tutta l’America. C’è una parte importante del Paese a stelle e strisce che mai e poi mai rinuncerebbe al diritto di possedere un’arma. E questi cittadini non votano solo a destra.

 

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