Nel prendere di mira il premier israeliano Netanyahu il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha fatto una stima del costo della ricostruzione nella Striscia di Gaza: 100 miliardi di dollari. Esagerata? Può essere, ma non dovrebbe discostarsi molto dalla realtà. La Banca Mondiale ha fatto una stima, per i soli danni, di 18,5 miliardi. Secondo l’Onu solo per rimuovere i 50 milioni di tonnellate di macerie, impiegando oltre 100 camion a tempo pieno, servirebbero più di 15 anni di lavoro.

Ma a proposito di soldi, quanti ne metterebbe sul piatto Trump per acquistare Gaza, come ha detto di voler fare parlando ai giornalisti a bordo dell’Air Force One? Non si sa. Il presidente ha solo detto di essere determinato a “comprare e possedere Gaza“, permettendo comunque ad altri Stati del Medio Oriente di ricostruire alcune sezioni sotto la supervisione americana.

Il presidente Usa parte da un dato di fatto: la Striscia di Gaza è un cantiere pieno di macerie e, comunque la si pensi, la necessità è ricostruire. Ma per farne cosa? L’idea di Trump è un enorme “sito immobiliare”, un mega resort affacciato sul Mediterraneo dove potranno andare vivere persone da tutto il mondo. E i palestinesi? Sarà loro assicurata una vita “sicura e armoniosa”, ma altrove. Non si sa bene dove, anche se Trump ammette che sarebbe meglio che restassero nella regione, con il sostegno economico (e non solo) di Egitto, Giordania e Arabia Saudita.

Non entriamo nel merito dell’idea di Trump. Continuiamo a pensare che la soluzione migliore sia “due popoli, due Stati”. Ovviamente è difficile, difficilissimo da realizzare.

 

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