Sul ping pong. Ovvero, come superare Euclide
«Entrate, non abbiate paura. Anche qui sono gli Dèi» disse Eraclito l’Oscuro ai visitatori che, giunti per incontrare il grande saggio, lo trovarono seduto accanto alla sua stufa, a scaldarsi. Gli Dèi sono ovunque, è ovvio. Basta saperne udire la voce. Guido Mina di Sospiro, nel suo Metafisica del ping pong (Ponte alle Grazie, Milano 2016, pp. 240, € 16,80), ci insegna a trovare le loro tracce in uno dei giochi più famosi di sempre. Il sottotitolo del libretto è Un’introduzione alla filosofia perenne. Quella di Huxley, Guénon e Zolla, per capirci, che innerva tutte le tradizioni, d’Oriente come d’Occidente. Non la filosofia moderna, persa in sofismi e giochi di parole, che ha segnato – non senza il concorso di altre cause, naturalmente, scrive l’Autore – la morte della spiritualità occidentale, ma un’altra, che permea «lo zen, il sufismo, le religioni misteriche, l’esoterismo occidentale e orientale, il misticismo di tradizioni diverse».
Quella tradizione che non scompare mai ma che percorre silenziosamente la nostra storia, riemergendo di tanto in tanto, spesso nei modi più impensati. Il ping pong è uno di questi. Non è un caso, scrive l’Autore, che venga giocato «ai livelli più alti nei Paesi dell’Asia orientale, dove per secoli le arti marziali sono state discipline atletiche ed esoteriche al contempo». È una disciplina meta-euclidea, che richiede un fare, anzi un essere al di fuori delle ascisse e delle ordinate della logica moderna (quella schierata contro l’uomo, denunciata da Massimo Scaligero), invalicabili colonne d’Ercole del pensiero. Sport totale, nasce dal tennis, ben più chiassoso ed esibizionista, emancipandosene ben presto, richiedendo un approccio metafisico e olistico, che permette di accedere al «regno platonico della forma perfetta».
Un gioco… Proprio così, perché prima di essere sapiens l’uomo è ludens, come scrisse il geniale Johan Huizinga in uno dei suoi saggi più famosi. Il gioco precede la logica, in quanto connesso alla dimensione della libertà, ben più profonda della ratio calcolante. Gli occidentali oppongono necessità e libertà? Il tennistavolo è una buona occasione per pensare in maniera differente: ci chiede di agire in armonia con il divenire delle cose, orientandolo, facendone parte e riconoscendoci in esso. Il ping pong ci ricorda che il nostro Sé è anche lì. Come gli Dèi di Eraclito, insomma.
Il ping pong rivela i caratteri, sviscera le personalità. Lo scontro è sempre quello: empiristi contro metafisici. I primi utilizzano racchette che annullano tutti gli effetti, sono i gendarmi di Euclide, gli schiavi dello spirito di gravità maledetto e stramaledetto da Nietzsche nel suo Zarathustra. I secondi, invece, la gravità la sconfiggono: si librano lievi al di sopra dei tracciati, superando la tirannia della materia, andando al di là dell’Occidente. È a loro – e solo a loro – che il ping pong è destinato. Saranno questi tipi umani a uscire dalla caverna platonica, dal regno delle apparenze, saranno loro a vedere il mondo delle idee.
È «la dimensione cosmica del tennistavolo» quella di cui parla Mina di Sospiro, in un saggio che, accanto alla descrizione delle evoluzioni dei giocatori, passa per Sun Tzu e Clausewitz, I Ching ed Eliade, Jung e la teoria del caos, Heisenberg e Lao Tzu. Mai l’autore avrebbe pensato che praticare questo sport lo avrebbe condotto a comprendere il significato dell’iniziazione, il rapporto spirituale che lega discepoli e maestri, il senso delle stagioni, della vita e dei rapporti con gli altri. Mai avrebbe pensato che il suo io sarebbe morto e rinato su un tavolo verniciato di verde, iniziazione alla propria vocazione, decesso e resurrezione dell’Io – e, insieme, del cosmo interno. Anche qui sono gli Dèi.