Evola ’43-’45. Intervista a Gianfranco de Turris
È appena uscito per Mursia, firmato da Gianfranco de Turris, Julius Evola. Un filosofo in guerra. Il sottotitolo, 1943-1945, dovrebbe accendere qualche spia nei lettori del pensatore romano, essendo il periodo più misterioso della sua vita, quello di cui ha parlato di meno, con più lacune da un punto di vista biografico. Ora, finalmente, questo saggio ci svela ciò che fece in quegli anni, i viaggi in Italia ed Europa, la permanenza al Quartier Generale di Hitler e i nove mesi a Roma «città aperta», i rapporti con l’SD e il soggiorno a Vienna per studiare documenti massonici, il bombardamento in cui decise di saggiare il destino, interrogando tacitamente la sorte… Una trama che si sviluppa in un continente messo a ferro e fuoco da un conflitto mondiale, ricostruita con una minuzia storiografica esemplare: enorme la mole dei documenti citati, assieme a interviste e testimonianze personali. Ne abbiamo discusso con l’autore, domandandogli anzitutto quale sia stata la genesi di questo testo.
Il mio libro ha origine da una conferenza, tenuta a Milano alla fine degli anni Novanta, dedicata agli uomini della Repubblica Sociale, poi pubblicata in volume. Anche se Evola non può essere considerato in senso vero e proprio un “uomo della RSI”, ho scritto quel che si sapeva allora, sulla base dei suoi articoli pubblicati sul «Popolo Italiano» e riuniti sotto il titolo Con Mussolini al Quartier Generale di Hitler. Ho usato queste fonti come filo conduttore, aggiungendo altri particolari. In seguito, nel 2001, ne ho pubblicata una versione migliorata – ma non troppo – sulla rivista «Nuova Storia Contemporanea» di Francesco Perfetti. Da quel momento in poi, non ho mai smesso di raccogliere materiale.
Come si è mosso attraverso questo immenso corpus di fonti?
Sono state le parole di Evola a orientarmi, quel che diceva e che non diceva, ciò cui alludeva in quelle che possiamo chiamare le sue – pochissime – memorie. Ho messo insieme un mosaico d’informazioni e riferimenti – spesso indiretti – tratti da libri italiani e stranieri, insieme a testimonianze di persone che l’avevano conosciuto o che erano in contatto con altri protagonisti di questa storia. Ma spesso, devo dire, si è trattato anche di colpi di fortuna!
Le testimonianze raccolte hanno sostanzialmente confermato quel che si sapeva di lui in quegli anni, cruciali per l’Europa?
In genere hanno confermato tutto: i viaggi, gli incontri, gli spostamenti… Le uniche cose che sono state smentite sono tutte le leggende metropolitane, come, ad esempio, la questione della sua paralisi agli arti inferiori, avvenuta durante il famoso bombardamento a Vienna, che secondo alcuni aveva avuto invece origini “magiche”…! Ricordo che lui stesso rideva di queste dicerie… Ebbene, alcuni dei documenti rintracciati (come le lettere a Walter Heinrich che Hans Thomas Hakl mi ha messo a disposizione, insieme al rapporto medico allegato) hanno finalmente smentito tutto.
Ma che ci faceva Evola a Rastenburg, al Quartier Generale di Hitler? E con il Duce, per giunta?
Evola parte da Roma alla fine dell’agosto 1943, con un gruppo di persone di cui non ha mai fatto il nome. Viaggia verso Berlino, per render conto ai tedeschi della situazione effettiva del Paese, ancora sotto il governo Badoglio. In Germania c’erano due tendenze: chi credeva in Badoglio, come il Ministero degli Esteri, e chi no, come l’SD e le SS. Questo contrasto impediva ai tedeschi di prendere qualsiasi decisione. Ebbene, Evola arriva in Germania, va a Berlino, parla con chi deve parlare. A quel punto, scopre che Giovanni Preziosi lo sta cercando, e va nella cittadina in cui risiede. Intanto, gli altri membri del gruppo tornano in Italia: quando decide di fare lo stesso, è l’8 settembre. Voleva partire il 9, ma la notte precedente sente l’annuncio dell’armistizio. Viene chiesto a lui e a Preziosi di parlare in radio, a nome di chi non intende sottoscrivere l’armistizio. L’annuncio non ha luogo, anche se alcuni storici affermano il contrario. I due vengono trasportati in aereo a Rastenburg, dove, mimetizzato in un bosco, c’è il Quartier Generale di Hitler. Vi giungono probabilmente il 9. Nel frattempo, Mussolini viene liberato dai paracadutisti di Student e dalle SS di Skorzeny e, dopo una o due tappe, arriva a Rastenburg, dove incontra una serie di personalità che si trovano sul luogo, tra cui il figlio Vittorio, Pavolini, Buffarini Guidi e Farinacci. Tra l’arrivo di Evola e Preziosi e la liberazione di Mussolini hanno luogo, come ampiamente documentato da storici come Attilio Tamaro, lunghe conversazioni su cosa si debba fare con l’Italia, ipotesi di governi diversi da contrapporre alla resa e al Regno del Sud, che si sarebbe creato di lì a poco.
Di questo incontro rimane la celebre scatola di sigari firmata dopo una serata di festeggiamenti da quasi tutti i presenti, poi conservata dal filosofo romano e riportata nel libro (©Fondazione J. Evola, qui riprodotta per gentile concessione).
I presenti – che risiedevano, assieme ad altre personalità italiane, nei vagoni di un treno, scrive Evola, «immobile» come la situazione politica del momento – firmarono una scatola di cubani Walter E. Beger, a ricordo del loro incontro. Dall’alto in basso le firme sono: Giovanni Preziosi, un nome tedesco incomprensibile, Alessandro Pavolini, Orio Ruberti, Cesare Rivelli, Ugo Valla, Angelo Vecchio Verderame, J. Evola, uno sconosciuto A. Zinay, Vittorio Mussolini e Renato Ricci. Manca la firma di Farinacci, in quel momento assente poiché, scrive Evola, convocato dal Duce in udienza privata.
Un altro documento molto particolare è quello selezionato per la copertina…
Questa immagine è stata scelta perché è quella più singolare, e sicuramente colpisce il lettore, per un libro di questo genere. Di solito è poco riprodotta: è una delle molte scattate il pomeriggio del 20 luglio 1944, dopo l’attentato di von Stauffenberg, avvenuto la mattina. Per un insieme di casualità della storia – dimostrazione del fatto che nulla è già scritto – l’attentato del conte non raggiunse il suo scopo. Nella foto, oltre al Duce e al Führer si distinguono Bormann, Göring e l’ammiraglio Dönitz. Alle sue spalle, in terza fila, si scorge il profilo di un uomo in borghese con i calzoni alla zuava, così sembra. Dalla Germania, anni fa, giunse la segnalazione che secondo alcuni si trattava di Julius Evola. Guardandolo bene, in effetti, è impossibile non notare una qualche vaga somiglianza – i capelli, il naso, eccetera eccetera – ma un esame dei fatti pratici dimostra che è impossibile. Il 20 luglio Evola era a Vienna, sotto falso nome. Ciononostante, si tratta di un’immagine molto curiosa, che analizzo nel libro.
Quanto rimane ancora da scoprire sulla vita di Evola di quegli anni?
Poiché di testimoni diretti non ne esistono più, occorre basarsi su materiali di archivio, pubblici o privati. Ad esempio, le lettere di Evola a Heinrich di cui ho già parlato, venute alla luce solo nel 2014, che hanno rivelato la data del bombardamento che l’ha travolto, il nome falso che aveva a Vienna e altre cose. Ma si può anche andare per induzione, integrando le lacune di alcuni documenti usandone altri. Certo, di cose da scoprire ce ne sono ancora. Ad esempio, se si riuscisse ad avere – ma penso siano andate distrutte o perdute – le lettere di Evola a Goffredo Pistoni, potremmo sicuramente avere dettagli aggiuntivi. Oppure le missive che il filosofo scriveva ai suoi amici quando era in ospedale: alcune le abbiamo recuperate, molte no. Altro non credo ci sia: ad esempio, da dove potrebbero mai uscire dettagli del viaggio che fece da Roma a Firenze e poi da Firenze a Verona, dopo l’arrivo degli Alleati? E cosa fece esattamente nella città scaligera?
Un mistero destinato a restare tale, insomma…
Sarà sempre così, proprio perché non ci sono fonti dirette su tutta questa vicenda, che può essere rischiarata solo a partire da deduzioni. Nelle linee generali e complessive, però, i fatti accaduti sono questi. Non credo che altre acquisizioni possano modificare sostanzialmente questa ricostruzione, che mi ha impegnato per anni ma che finalmente getta luce su uno dei periodi più enigmatici della vita di Julius Evola. Se il mio libro, pur con tutte le sue ipotesi, servisse a stimolare ricordi, indicazioni, nuove deduzioni, avrebbe già assolto parte del suo compito.