Aleksandr Dugin: «Evola, il populismo e la Quarta Teoria Politica»
Uno dei tratti del nostro disgraziato tempo consiste nella facilità con cui si dispensano etichette, a intellettuali così come a correnti e fenomeni politici. Di destra o di sinistra, populisti o elitisti, progressisti o conservatori… Nella realtà dei fatti, tuttavia, l’unico discrimine è quello che oppone intellettuali passatisti e altri che preferiscono essere contemporanei del futuro. Il secondo gruppo (non poi così nutrito, a dire il vero) comprende spiriti nati in anticipo di qualche decennio – se non addirittura di secoli, come Nietzsche – sulla tabella di marcia della Storia, avanguardie di una realtà in procinto di dispiegarsi nella sua totalità. La storia dei grandi precursori, di questi viventi cortocircuiti del Tempo, non è stata ancora scritta. Nell’attesa, sarà bene imparare a riconoscerli. Settimana scorsa Alexandr Dugin, il cui nome non ha bisogno di presentazioni, è venuto a Milano a presentare il suo Putin contro Putin, appena dato alle stampe per i tipi di AGA. Poco tempo prima, del “consigliere di Putin” (qualifica giornalistica sempre rigettata a piè sospinto dal diretto interessato) era uscita una monumentale Quarta Teoria Politica, pubblicata da NovaEuropa nella traduzione di Camilla Scarpa e con una prefazione di Luca Siniscalco. Più che un libro, La Quarta Teoria Politica è un autentico crocevia di passato, presente e futuro, che discute l’esaurirsi delle categorie della modernità e gli scenari a venire. Allo stato attuale delle cose, come si diceva, Dugin è tra i pochi contemporanei del futuro, e questo libro ne è la dimostrazione, l’inveramento di uno spirito acuto teso a superare le tre teorie politiche della modernità – liberalismo, fascismo e comunismo – le quali, dopo aver infiammato il Novecento, «secolo delle ideologie» par excellence, hanno perso forza propulsiva, dimostrandosi incapaci di interpretare il nuovo. Occorrono nuove ermeneutiche, nuove prassi, nuovi metodi: sono le sfide del nostro tempo a chiedercelo. E noi dobbiamo essere alla loro altezza. È da tutto ciò che nasce la Quarta Teoria Politica, “rottamazione” (volendo usare un termine à la page) delle tre precedenti teorie, sforzo titanico di aderire allo Zeitgeist, sguardo trasversale e anticonformista capace di coniugare Tradizione e modernità, universum e pluriversum – una «metafisica del populismo», come leggiamo al suo interno. Un libro in qualche modo legato alla realtà storico-destinale della Russia, ma anche manifesto di un mondo multipolare, a più dimensioni, del tutto contrario a quello monoteistico sognato da mondialisti e globalisti e avverso al “razzismo storiografico” che vede la modernità come apice supremo dell’evoluzione umana. Chi fosse a caccia di facili ricette può lasciar perdere: questo libro non fa per lui. La Quarta Teoria Politica non è un impianto dottrinario ma anzitutto un metodo, una visione del mondo. Non è un’ideologia, ma una metafisica della storia, allergica all’attivismo fine a se stesso che va tanto di moda oggi e fautrice di un mutamento anzitutto interiore. A provarlo è, tra le altre cose, la presenza di una serie di autori impolitici (nel senso dato da Thomas Mann) e non allineati, tra cui spicca, sin dalle prime pagine, Julius Evola, antica passione di Dugin, che anni fa ha realizzato un’analisi “da sinistra” delle sue idee. Proprio facendo riferimento al filosofo romano, assieme a Luca Siniscalco sono andato a intervistarlo, chiedendogli com’è venuto a conoscenza delle sue opere, e qual è stato il primo libro di Evola ad aver letto. E ora, la parola a Dugin.
Ho conosciuto Evola da alcuni tra i miei maestri e amici russi, che a loro volta hanno scoperto il pensiero tradizionalista negli anni Sessanta. Allora ero solo un bambino. All’inizio degli anni Ottanta sono entrato in contatto con un gruppo molto ristretto, praticamente inesistente in Russia, ignoto ai circoli ufficiali e composto interamente da dissidenti. Erano la minoranza della minoranza, a livello quasi infinitesimale. Come nel senso di Guénon [ride], che stabilisce una differenza tra infinitesimale e inesistente, no?
Nei Principi del calcolo infinitesimale, usciti anche in italiano…
Certamente. Ebbene, loro avevano una portata infinitesimale ma esistevano comunque [ride]. Successivamente, mi sono imbattuto in Imperialismo pagano, nella sua versione tedesca, Heidnischer Imperialismus. Rimasi talmente impressionato da quell’opera che decisi di tradurla immediatamente in russo. Fu un incontro cruciale, direi radicale. L’universo descritto da Evola conteneva il miglior impianto ideale che avessi mai incontrato. Allora non riuscivo a capirne il perché: provenivo da una famiglia comunista, normale, appartenente alla classe media, eppure sentivo di appartenere all’universo descritto da Evola più di quanto non mi accadesse con quello in cui vivevo. Era una certezza priva di alcun tipo di fondamento. Nel frattempo ebbi modo di curare la traduzione di vari libri di René Guénon dal francese. Ebbene, da allora – era l’inizio degli anni Ottanta – mi considero un tradizionalista, e niente è cambiato essenzialmente fino ad ora. Appartengo a quest’universo, a tutti gli effetti.
Quali opere di Evola ha letto successivamente?
Cavalcare la tigre, seguito da Rivolta contro il mondo moderno. E poi tutto il resto: La tradizione ermetica, Il mistero del Graal, Metafisica del sesso, Gli uomini e le rovine…
Qual è la sua opera di Evola preferita?
Sono tutte molto importanti, ma quella che preferisco è Cavalcare la tigre. Ha esercitato un fondamentale influsso metafisico su di me, soprattutto con il concetto di Uomo differenziato, che si trova costretto a vivere nella modernità pur appartenendo a un mondo differente. È proprio a partire da questa idea che ho sviluppato le mie analisi sul Soggetto radicale, vale a dire l’uomo della Tradizione gettato in un mondo senza Tradizione. Com’è possibile per un tipo umano del genere, mi sono chiesto, vivere in un mondo in cui la Tradizione non è presente, senza cioè aver ricevuto alcun tipo di tradizione…? Ebbene, nasce da qui il Soggetto radicale, che non si risveglia quando il fuoco del sacro è acceso, ma quando fuori di sé non trova niente legato alla Tradizione.
In che senso?
L’essenza della verità è di tipo sacro. Oggi domina il nulla, ma non è possibile che il nulla esista. Il nulla è solo una forma esteriore, al cui interno arde il sacro. È proprio quando è saltata la trasmissione regolare delle forme del sacro che appare quello che io chiamo Soggetto radicale. E qui torniamo all’Uomo differenziato, che oggi è forse addirittura più importante della Tradizione stessa. Forse la Tradizione è scomparsa proprio per cedere il passo al Soggetto radicale. Da questo punto di vista, paradossalmente il tradizionalismo oggi è più importante della stessa Tradizione. Tutte queste idee, dedotte da Cavalcare la tigre, non implicano ovviamente la restaurazione di ciò che fu, ma la scoperta di aspetti che nel passato nemmeno esistevano.
Non si tratta di un mero conservatorismo, dunque.
Per nulla. Noi non vogliamo restaurare alcunché, ma far ritorno all’Eterno, che è sempre fresco, sempre nuovo: questo ritorno è dunque un procedere in avanti, non a ritroso. Il Soggetto radicale, inoltre, si manifesta tra un ciclo che finisce e uno che nasce. Questo spazio liminale è più importante di tutto ciò che sta prima e di tutto ciò che verrà dopo. Potremmo utilizzare un’immagine tratta dalla dottrina tradizionale dei “quattro cicli”, delle Quattro Età (dell’Oro, dell’Argento, del Bronzo e del Ferro), diffusa in tradizioni molto diverse: la restaurazione dell’Età dell’Oro, da questo punto di vista, è meno importante rispetto allo spazio che sta tra la fine dell’Età del Ferro e l’inizio della stessa Età dell’Oro. Che poi è lo spazio in cui viviamo noi. Tutti questi aspetti, per tornare a Evola, secondo me sono impliciti nella sua idea di Uomo differenziato.
Di recente è stato pubblicato il suo libro La Quarta Teoria Politica. Il soggetto chiamato a questa nuova metafisica della storia è il Dasein, l’esserci di cui ha parlato Martin Heidegger. Nel Dasein c’è un’eco del Soggetto radicale?
Fino a un certo punto. Il Dasein, in realtà, non è il Soggetto radicale, ma, come è stato detto, si riallaccia a Heidegger. Tra l’altro, credo che Evola non avesse compreso molto bene Heidegger. In Cavalcare la tigre ne dà un giudizio superficiale: Heidegger è invece più interessante e profondo. Ho studiato per anni il suo pensiero, scrivendo quattro libri su di lui. L’aspetto importante del Dasein è che descrive l’uomo non come un’entità data. Di solito pensiamo all’uomo usando categorie come individuo, classe, società, nazione, che però sono solo forme secondarie. Volendo definire l’uomo nella sua radice più profonda, il Dasein è ciò che rimane quando lo liberiamo da tutti questi preconcetti culturali. Non è molto facile comprenderlo: bisogna operare una radicale distruzione – o decostruzione – di tutti gli aspetti socio-culturali, storici, religiosi (anche tradizionali) attribuiti all’uomo. Il Dasein non corrisponde a nessuna delle definizioni dell’uomo. Non è individuo, non è collettività, né Anima, Spirito o Corpo: tutto ciò è secondario. È invece una pura presenza dell’intelletto, che si schiude solo quando ci troviamo di fronte alla morte.
Quell’essere alla morte di cui parla Heidegger…
Non si può parlare di Dasein senza un confronto con la morte. In quel momento non ci sono più nomi, né individui: è allora che si spalanca l’essenza del Dasein. È necessario, come propone Heidegger, ripensare tutti i concetti della politica, della società, della filosofia, della cultura e dei rapporti con la natura prendendo le mosse da quest’esperienza radicale ed esistenziale, da tale momento pensante. Solo a partire da questo spazio esistenziale libero da tutto il resto è possibile ricostruire un’ontologia scientifica, un’ontologia politica, un’ontologia socio-culturale… Ma sempre e solo a partire da questo Risveglio esistenziale. E tale Risveglio non è un’idea trascendente, ma un’esperienza immanente, che deve tornare a essere la radice della politica.
Nella Quarta Teoria Politica ha interpretato anche il concetto di popolo alla luce del Dasein…
Il Dasein, a tutti gli effetti, è il popolo. Senza popolo, non può esistere alcuna entità pensante. Il popolo assicura infatti una lingua, una storia, uno spazio e un tempo. Tutto. Riflettendosi, il Dasein si fa popolo. Non mi riferisco al concetto di collettività, che è solo un insieme di individui. Al di fuori del popolo, noi non siamo niente. E il popolo esiste solo in quanto Dasein, non individualmente, né collettivamente. È una forma esistenziale di comprendere il popolo, che si oppone alle teorie dei liberali, con la loro idea vuota e insignificante di individuo; alle teorie dei comunisti, basate su classi e collettività, concetti altrettanto vuoti che non si oppongono affatto a quelli liberali, poiché questo tipo di collettività è solo un agglomerato di atomi individuali, come già detto; e, infine, alle teorie dei nazionalisti, che si rifanno al concetto di Stato nazionale, altra idea borghese antitetica all’Impero e all’idea del Sacro. Evola, in questo senso, ha operato una critica assai radicale del nazionalismo. Quelli liberali, comunisti e nazionalisti sono tutti tentativi antiquati di interpretare il soggetto della politica.
Sono le tre teorie politiche che la Quarta scalzerà…
È così che arriviamo al Dasein, soggetto della Quarta Teoria Politica. Esso non può fare a meno del popolo: è infatti impossibile rinunciare alla lingua, alla storia, a una certa mentalità… È impossibile pensare senza una lingua, no? La mia è una visione metafisica dell’intelletto e della linguistica, dalla storia e della società. Basandosi su tutto ciò, rinunciando alle tre teorie politiche della modernità – comunismo, nazionalismo e liberalismo – dobbiamo costruire una nuova visione del mondo, una politica in senso esistenziale capace di dare una risposta a tutte le sfide del presente: il nostro rapporto con gli altri, il gender, l’idea di un mondo multipolare… Occorre ripensare tutto questo al di fuori della modernità occidentale. Ebbene, è proprio comparando questa costruzione teorica e i tre regimi della modernità occidentale che è nata la Quarta Teoria Politica.
Ha visto incarnarsi tale teoria in qualche forma politica attuale?
Lo sciismo moderno è un’espressione, in ambito islamico, della Quarta Teoria Politica. Il mio libro è stato tradotto in persiano, ed è stato sottolineato che parla della politica iraniana…! Che infatti non è comunista, né liberale, né nazionalista. Credo che il cosiddetto “populismo” – compreso quello italiano – sia una forma della Quarta Teoria Politica. Nemmeno i populisti sono fascisti o comunisti, e sono profondamente antiliberali. Il populismo è una reazione esistenziale dei popoli, che evidentemente non sono morti, come vorrebbero i liberali, i mondialisti e i globalisti. Sono tutti esercizi preparatori della Quarta Teoria Politica – che d’altronde potrebbe essere definita una forma di populismo integrale. Né di destra, né di sinistra, provvisto naturalmente di simpatie verso la giustizia sociale e l’ordine morale. Da questo punto di vista, la Quarta Teoria Politica è la metafisica del populismo.
Eppure, gli aspetti metapolitici del cosiddetto “populismo” sono passati inosservati in Italia…
Al populismo vengono applicate etichette di destra – fascista, nazionalsocialista – o di sinistra – comunista, maoista, trotskista… Ma anticomunismo e antifascismo sono solo tentativi di spaccare il popolo. Il populismo propone di abbandonarli entrambi, insieme ai dogmi del nazionalismo e del comunismo, unendo le forze popolari – di destra e sinistra – per giungere al populismo integrale, facendo fronte comune contro i liberali, i globalisti, i mondialisti, residui ultimi del ciclo ultimo dell’Occidente. Sono convinto che i mondialisti di oggi siano i peggiori – peggiori dei fascisti così come dei comunisti. Una rivoluzione contro di loro sarà l’ultima missione escatologica d’Occidente. Il popolo tenterà una resistenza organica, esistenziale. La Quarta Teoria Politica, inoltre, apre la strada al recupero di tutto ciò che non è moderno né occidentale: il pre-moderno, il post-moderno, l’anti-moderno, l’Asia, la tradizione romana, il cristianesimo ortodosso, la Grecia, l’Islam. La modernità occidentale è l’insieme di tutto ciò che vi è di più negativo, i Soros, i globalisti, i liberali… Farla finita con il liberalismo significherà superare tutto ciò che nell’Occidente ha un carattere nefasto. È una lotta escatologica, evidentemente: e qui la Quarta Teoria Politica si ricongiunge al tradizionalismo. Sempre, va da sé, con uno sguardo aperto al futuro.
Tornando a quel che si diceva prima, Dasein e Soggetto radicale sono dunque differenti?
Sono simili, ma non credo sia possibile stabilirne un’identità. Sono concetti nati in contesti diversi. Ho scritto un libro sul Soggetto radicale e il suo doppio – nell’accezione di Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio. Per me, il Soggetto radicale è un modo d’essere contro il mondo moderno, senza alcuna ragione particolare, senza essere aristocratici o cristiani… Insomma, senza aver alcun tipo di contatto con una Tradizione viva. Ebbene, è quello il momento della forma concreta e operativa del Soggetto radicale, che si apre subito alla Tradizione, essendone una forma. Ma questa è una rivolta che non proviene da fuori, ma dal di dentro. È ovviamente una forma molto particolare di metafisica.
Una metafisica interiore, per così dire…
È l’Uomo differenziato, appunto. Non in quanto conte o barone, e nemmeno poiché cristiano, cristiano, pagano, sufi o cose di questo tipo. L’Occidente non ha niente di tutto ciò: ecco perché, come sostiene Evola, arriverà per primo alla rinascita, alla restaurazione, al ciclo nuovo, rispetto all’Oriente. L’Occidente si trova ora nel fondo dell’abisso. Ma è quello il luogo in cui rinascerà il Soggetto radicale.
Il libro sul Soggetto radicale è ovviamente in russo…
Certo.
Andrebbe tradotto…
Credo che la sola lingua, la sola cultura che potrebbe capirlo sia quella italiana. La cultura di Evola, la lingua in cui fu scritto Cavalcare la tigre, una cultura che ha profonde conoscenze tradizionali. Gli inglesi non conoscono affatto Evola. In Francia è considerato solamente come uno dei tanti discepoli di Guénon, oppure è ridotto al fascismo. Dunque, non sarebbero in grado di comprendere il mio libro. Sarebbe un’ottima idea tradurlo in italiano.
La Quarta Teoria Politica critica l’Individuo Assoluto di Evola – precisando anche che questa espressione, in senso tradizionale, può riferirsi all’atman indù. Secondo lei, com’è avvenuto il passaggio di Evola dall’Individuo Assoluto ai grandi spazi della Tradizione?
Credo si tratti di una mera questione terminologica. Io non critico il concetto di Individuo Assoluto evoliano, ma quello di individuo, che è un concetto relativo per definizione. L’espressione Individuo Assoluto supera in se stessa l’individualismo. Credo quindi si tratti di una mera questione linguistica. La teoria di Evola si comprende meglio, a mio giudizio, ricorrendo al concetto di Persona, anziché di individuo. La persona è una forma che può essere assoluta o relativa, ma è sempre legata alle relazioni con gli altri – in senso orizzontale o verticale, è sempre l’intersezione di diverse relazioni. La Persona Assoluta è quindi la forma dell’Assoluto personificato. Questa è l’idea tradizionale di selbst. Martin Heidegger parla ad esempio del selbst del Dasein: è precisamente l’Individuo Assoluto – o Soggetto Radicale. Lo si può comparare con il Param Atman, che sta al centro di tutto anche quando non è centro, anche in assenza di una simmetria che gli dia una forma. Per avere un centro dobbiamo infatti essere in presenza di una figura che lo presupponga. Ma in un mondo postmoderno e rizomatico il centro manca: il Soggetto Radicale è sempre centro, anche laddove non è possibile averne uno. È una forma di trascendenza immanente.
Diversi anni fa ha messo a punto un’interessante lettura di Evola, per così dire, “visto da sinistra”. Può spiegarci brevemente di che si tratta?
Era una piccola provocazione che sollevava una questione molto seria: non è possibile leggere Evola come fanno molti individui piccolo-borghesi e conservatori. Evola non appartiene alla destra economica, ma è contro il mondo moderno. E il mondo moderno può essere di sinistra così come di destra. La sua è una rivolta assoluta contro il mondo che ci circonda, contro lo status quo, una rivolta incompatibile con il conservatorismo di destra, il grande capitale, la borghesia, la xenofobia, tutte posizioni che racchiudono in sé un conformismo piccolo-borghese. Evola invita a intraprendere una lotta assoluta, è questa la verità. Chi non accetta tale invito si schiera di fatto in difesa del mondo moderno. Non è possibile essere tradizionalisti e accettare le forme dell’occidentalismo moderno, del capitalismo, del liberalismo e del conservatorismo. Per questo ho voluto porre l’accento sul fatto che il pensiero di Evola è rivoluzionario, conducendo a una rivolta provvista, in questo senso, di un’anima “di sinistra”, finalizzata alla distruzione di tutti i princìpi dello status quo. Il suo potrebbe essere, per così dire, un “anarchismo di Destra”, sviluppato appunto in Cavalcare la tigre.
In quel saggio lei ha anche riflettuto anche sull’interpretazione “tradizionale” del rapporto tra lavoratori e borghesi…
Credo che la difesa della borghesia contro il proletariato di Evola e Guénon sia un errore legato all’applicazione della teoria che vede quattro caste nelle società indoeuropee. La prima era sacerdotale e la seconda guerriera, degli kshatrya: sennonché, a differenza di Evola e Guénon, sono convinto che la terza casta debba essere identificata con quella dei contadini. Georges Dumézil ha mostrato che nella tradizione indoeuropea le caste sono tre, non quattro. Se le cose stanno così, allora la borghesia non è nemmeno una casta, bensì un gruppo costituito da contadini incapaci di vivere nei campi che si mossero verso le città. I più onesti si trasformarono nei proletari; i peggiori, invece, nei capitalisti. La borghesia divenne così una casta che riuniva i guerrieri peggiori, che avevano paura di lottare, e i contadini che non volevano lavorare. Era l’unione degli individui peggiori di tutte le caste. Ecco perché non bisogna difendere la borghesia, non essendo una vera casta indoeuropea. Odiando sacerdoti, guerrieri e contadini, ha creato una realtà avversa a tutte le caste tradizionali indoeuropee. È interessante notare come la rivoluzione socialista – il comunismo sovietico – fosse orientato dapprima contro la borghesia, non tanto contro guerrieri, sacerdoti o contadini. Così credo sia possibile concepire, per così dire, un socialismo – o un comunismo – indoeuropeo del tutto avverso alla borghesia, che non rappresenta in alcun modo la Tradizione. Questa mia analisi, si badi, non è una critica a Evola, che odiava la borghesia, lo status quo e il mondo moderno, ma piuttosto una correzione e un’integrazione della sua teoria.
Come appare allora l’Evola antiborghese “visto da Sinistra”?
Se oggi la borghesia è il nemico assoluto, tutto ciò che non è moderno, occidentale e borghese, è dalla nostra parte: lo sono i cinesi, i russi, gli africani, gli arabi, tutti gli occidentali che si oppongono al liberalismo. Quest’ultimo, infatti, è la cristallizzazione peggiore dell’Era Oscura di cui hanno parlato le dottrine tradizionali. In questa prospettiva, l’Evola antimoderno e antiliberale è un rivoluzionario totale. Potremmo ripetere a proposito di Evola ciò che René Alleau disse di Guénon, definendolo «il pensatore più radicale e rivoluzionario di Marx». Lo è molto più di quei tradizionalisti che vivono da borghesi, limitandosi a una lettura sterile e improduttiva del pensiero di Tradizione. Costoro sono i traditori della Tradizione: se le cose stanno così, mi stanno più simpatici gli anarchici. Credo che l’ordine borghese debba essere distrutto. La mia tesi è una logica conseguenza delle posizioni evoliane e tradizionaliste.
E come si rapporta alla Quarta Teoria Politica?
La Quarta Teoria Politica propone lo stesso, in modo più accademico, con la decostruzione del liberalismo, dell’eurocentrismo e del modernismo. Non è dogmatica, ma è un invito a esercitare il pensiero e la critica. Alcuni propongono di trovare un nome a questa teoria. È inutile farlo: essa delineerà uno spazio concettuale che troverà il proprio nome in un momento futuro, a tempo debito. Ma già oggi è possibile lavorare con questo concetto, preparando il terreno per la sua manifestazione. Gli iraniani, come i cinesi, possono vedere nel loro assetto politico una manifestazione storica della Quarta Teoria Politica. È un invito aperto. Questo è il lato debole ma anche forte dell’espressione “Quarta Teoria Politica”. Voglio precisare che non si tratta di un mascheramento della Terza Teoria Politica – del fascismo – ma di un paradigma realmente alternativo ai primi tre. Fascismo, comunismo e liberalismo sono del tutto intrisi di modernità. Io critico il fascismo nei suoi aspetti borghesi, razzisti e nazionalisti. La Quarta Teoria Politica spalanca un altro spazio concettuale. Il problema è che quasi tutto ciò che continuiamo a pensare appartiene al retaggio delle prime tre teorie politiche. Bisogna compiere una grande purificazione interiore per sviluppare in modo fruttuoso il tradizionalismo e allo stesso tempo la Quarta Teoria Politica, che è la forma logica di un certo sviluppo di alcuni aspetti del tradizionalismo stesso.