Un thriller occulto, tra alchimia e fantapolitica
È impossibile quantificare con ragionevole approssimazione i “romanzi occulti” pubblicati ogni anno in Italia. Non ci riferiamo ai “classici”, spesso meritoriamente ristampati in edizioni critiche da piccoli editori che non hanno nulla da invidiare ai più grandi, ma alle cosiddette “novità”. Ve ne sono di diversi tipi: ambientati in tempi remoti o nella contemporaneità, fantastici o realistici, polizieschi o weird, magari dedicati a extraterrestri o fantasmi… Ma quali sono gli ingredienti che deve avere un libro del genere per funzionare? Anzitutto, a prescindere dal fatto che sia “occulto” o meno, dev’essere un buon romanzo, capace di evitare i cliché letterari e gli stereotipi stilistici, avere una trama credibile, personaggi caratterizzati in un certo modo, magari evitando i colloquialismi e, soprattutto, il fastidioso diluvio di dialoghi che caratterizza una certa letteratura generalista, che nelle continue interazioni tra i personaggi vede l’unico sistema per tenere alta l’attenzione di un lettore abituato, più che ai tempi lunghi della narrazione, ai tweet e ai messaggini sul telefono. Caratteristiche che, purtroppo, già da sole tagliano fuori buona parte delle opere che escono nel Belpaese. Dopodiché, essendo appunto “occulto”, dovrebbe essere costruito con una certa competenza delle fonti trattate, basandosi su quelle più attendibili ed evitando la logorrea di ciarlatani “New Age”. Altrimenti, il gioco non funziona: la scommessa è quella di servirsi delle fonti, per poi improvvisare una narrazione propria. Dopodiché, evitare i Templari, per carità: «I Templari c’entrano sempre» scriveva Umberto Eco caricaturando un certo tipo di esoterismo à la page ne Il pendolo di Foucault, raffinato esercizio di ars combinatoria che può essere benissimo letto secondo modalità ben diverse da quelle indicate dall’autore stesso. Forse, molti esordienti quel libro non lo hanno letto, prima di mettersi a lavorare su romanzetti che spesso – ma non sempre – finiscono per gonfiare un caravanserraglio spiritualista ed esoterico sui generis che non verrà mai dileggiato abbastanza. Alla luce di queste premesse, non so quanti dei “romanzi occulti” pubblicati ogni anno nel nostro Paese si salvino.
Ha invece tutte le carte in regola il thriller di Guido Mina di Sospiro e Joscelyn Godwin, The Forbidden Book, pubblicato un decennio fa da Red Wheel/Weiser. La sua prima edizione è americana, ma per genesi e contenuti è italianissimo. È ambientato in Veneto, tra Verona e Vicenza, con un paio di scene milanesi e l’incalzante epilogo tra gli umbratili canali veneziani. I personaggi principali sono quasi tutti italiani, così come lo è lo pseudobiblium su cui è strutturata la trama. D’altronde, non è la prima volta che è un libro misterioso a fare da filo rosso di un romanzo esoterico. Solo per citarne uno tra i più famosi, basti pensare al magnifico Il club Dumas, del 1993, da cui Roman Polanski ha tratto il film La Nona Porta. I fatti di sangue che si rincorrono con efficacia tra le pagine di Arturo Pérez-Reverte ruotano attorno al misterioso volume Le Nove Porte del Regno delle Ombre di Aristide Torchia, libro inventato di sana pianta dall’autore.
Più complesso è il discorso riguardo al “libro proibito” evocato da Mina di Sospiro e Godwin. Si tratta in realtà di un volume piuttosto noto, Il mondo magico de gli Heroi, dato alle stampe da Cesare Della Riviera nel 1603 a Mantova e due anni dopo a Milano. Monumento dell’ermetismo italiano, il libro vede nelle operazioni alchemiche una modalità di realizzare la Pietra dei Saggi dentro di sé, conseguendo poteri sovraumani. Nel romanzo se ne serve il tenebroso barone Emanuele Della Riviera, ultimo erede dell’ermetista, che però possiede un’edizione unica del volume, precedente di cinque anni la prima e stampata nel 1757 a Venezia, «a spese della famiglia nobiliare Della Riviera». È una versione mai vista da alcuno, se non dai diretti discendenti dell’alchimista, priva dei tagli e delle modifiche richieste dalle autorità cattoliche. Il romanzo ne offre vari passi “inediti”, insieme allo stupore del protagonista di fronte alle antiche pagine di pergamena:
«Leo riprese dall’inizio, cominciando a scorrere il testo. Era notevolmente più breve della versione a cui era abituato: mancavano tutti i riferimenti a passi biblici, dottrine cattoliche, scritti dei santi e attività demoniache. Ciò confermava l’intuizione avuta fin da subito: erano solo le ciliegine messe sulla torta per addolcire i censori della Chiesa quando il libro era stato stampato, vent’anni dopo. Quanto era giovane Cesare quando lo scrisse? “Doveva essere un prodigio negli studi esoterici”, pensò mentre iniziava il commentario”».
Per quanto riguarda la sua “versione ufficiale”, la storia è più lineare. A tre secoli dalla sua prima edizione, Il mondo magico de gli Heroi viene riscoperto da due steineriani, Emmelina Sonnino de Renzis (sorella dello statista Sidney) e il suo primo marito, il duca esoterista Giovanni Colonna di Cesarò, che lo propongono alla casa editrice Atanòr. Il progetto naufraga e passa al filosofo romano Julius Evola, che nei primi mesi del 1932, a bordo di un treno che attraversa le innevate valli austriache, comincia a lavorarci su, realizzando un’edizione “linguisticamente modernizzata”, poi pubblicata a giugno da Laterza – in tempi in cui non era raro che editori di un certo livello si interessassero a opere del genere. Dopodiché il volume ha avuto varie edizioni, l’ultima delle quali del 2022, curata da Sebastiano Fusco e pubblicata dalle Mediterranee. È sempre, naturalmente, la versione curata da Evola (a cui peraltro allude anche il libro: «Un buon amico di famiglia lo ha fatto ristampare negli anni Trenta»), già epurata dai vari riferimenti operativi, mentre quella “integrale” rimane ad uso e consumo della famiglia Della Riviera. È proprio questa pseudo-edizione a permettere al protagonista di scoprire cosa si cela dietro all’enigmatico omicidio attorno a cui ruota The Forbidden Book, sbrogliando un’aggrovigliata matassa proprio a partire da alcuni misteriosi acronimi presenti anche nella versione “ufficiale” dell’opera. Sono cifrature che dicono e non dicono, nascondendo alcune delle operazioni ermetiche. Eccone alcune: LUNA significa LUx NAturae, VIMUM designa il VIs NUMerorum, mentre ACETUM rimanda all’espressione A CAElo TotUM. È la grande selva semantica della tradizione rinascimentale italiana, descritta da molti studiosi nel corso dei decenni.
Eppure, rivelano i due narratori, «il libro proibito era indicibilmente potente e pericoloso, soprattutto nelle mani del Barone». Artefice di un superomismo magico, che vede la realtà come una tettonica a zolle di poteri che spetta al mago dominare, studioso della philosophia perennis di Evola, René Guénon e Ananda Coomaraswamy, aspira a essere «anima stante e non cadente» (nella definizione di Cornelio Agrippa, non casualmente ricordato tra le fonti del libro), con obbiettivi però meno “spirituali”: attraverso la sua arte, infatti, prova a scatenare psichicamente una “guerra santa” su scala europea. Tacciamo i dettagli solo per non rovinare la lettura.
Vi si affaccia una “politica esoterica”, dove sono “influenze sottili” a determinare i fatti storici. Roba da maghi, più che da statisti… Un’idea che potrà suonare balzana, ma che lo è fino a un certo punto.
«Altro che Dan Brown e Umberto Eco! Ecco un thriller esoterico scritto da due autori che sanno il fatto loro e non hanno paura di svelare i segreti. Sesso, magia, politica e mistero. The Forbidden Book è una lettura avvincente e illuminante».
L’autore di queste parole è Gary Lachman, ex bassista dei Blondie e cultore di esoterismo e misticismo (ha scritto su Jung, Steiner, Crowley), nonché autore de La stella nera. Magia e potere nell’era di Trump (Tlon, 2019). In questo libro, i cui primi capitoli sono talmente brillanti da compensare alcune delle approssimazioni presenti negli ultimi, ha esplorato il “sottobosco magico” del nostro presente, nei suoi legami con la politica “alta”, parlando di un “mattino dei maghi” che non ha ancora finito di splendere in questi primi decenni del nuovo millennio. Ad esempio, parlando della cosiddetta Meme Magic, vale a dire l’idea che certi meme internettiani possano essere “caricati energeticamente” (da qui il nome della teoria, accostata alla Chaos Magick) e creare effetti concreti al di fuori dello spazio virtuale, dove sono nati. Entità di origine mentale capace di operare mutamenti reali, secondo l’allievo di Colin Wilson, «internet ha la stessa funzione del “piano astrale” usato dai maghi tradizionali: è come un etere psichico in grado di trasmettere i propri propositi». Tra l’altro, l’idea che una forza mentale ben addestrata, purificata e resa cosciente attraverso la “visualizzazione creativa” e la meditazione, possa operare mutamenti tra le pieghe (occulte) del reale è tra i principi del cosiddetto Positive Thought, divulgato dal predicatore Norman Vincent Peale, di cui Donald Trump si definì (parole sue!) il «miglior allievo».
Coautori del più recente Forbidden Fruits (Inner Traditions, 2021), Guido Mina di Sospiro e Joscelyn Godwin fanno un uso sapiente e ben calibrato delle fonti, d’altronde esplicitate in un’appendice finale: dall’Opus Magicum praticato dal Gruppo di Ur ad Athanasius Kircher e allo Yoga Sūtra di Patañjali, dagli studi sul buddhismo tibetano di W. Y. Evans-Wentz alle dottrine di Giuliano Kremmerz, fino a quelle dell’Ordo Templi Orientis. Ne è nato un avvincente thriller che in un decennio di strada ne ha fatta molta, essendo stato tradotto in spagnolo, greco, polacco, romeno, danese, russo, tailandese e bulgaro. Al lettore italiano non resta purtroppo che affidarsi a una di queste lingue – oppure, sperare che qualche editore voglia finalmente dare alle stampe, tra i libretti che si contendono le classifiche dei “più letti” su rotocalchi e quotidiani, un romanzo affascinante e caleidoscopico.