Ideologia, utopia e il falso mito dell’integrazione a tutti i costi

L’Europa ha fallito. Ha fallito come istituzione, nelle sue articolazioni durevoli e riconoscibili, ha fallito nella sua accezione politica per evidente mancanza di strategia e visione comune, ma soprattutto ha fallito in quella culturale ed identitaria. Stiamo assistendo inesorabilmente al fallimento delle politiche europee volte alla tolleranza senza regole, al multiculturalismo senza identità, al falso mito dell’integrazione a tutti i costi, al buonismo senza giustizia. Un’ Europa inerme, la cui immagine iconica si potrebbe identificare nelle lacrime di Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Lacrime irritanti, lacrime che suggeriscono la resa in un momento in cui invece dovremmo alzare tutti la testa e avere un sussulto di dignità e orgoglio. Orgoglio della nostra gloriosa storia passata, dei nostri valorosi uomini, delle nostre antiche tradizioni. L’islam, oltre che una religione, è un potentissimo mezzo d’identità e unità culturale, un concetto del tutto assente nelle nostre moderne società occidentali, le cui istituzioni sembrano ormai votate al nichilismo e ad un relativismo che le sta portando alla deriva. Le istituzioni – intese nel senso sociologico del termine e dunque non solo riferito alla politica ma a tutte le forme organizzative di cui si compone una società, dalla famiglia, alla Chiesa alla scuola – dovrebbero servire a formare la coscienza sociale dei soggetti secondo valori condivisi. Invece sempre più spesso abbiamo assistito a manifestazioni di laicismo esasperato, a operazioni di desertificazione della nostra cultura e delle nostre radici: il problema non e’ solo la lucida follia stragista dei terroristi islamici. Il vero problema è la resa dell’occidente, la sua abdicazione culturale e il FALSO IDEOLOGICO rappresentato dal concetto illusorio di un’ integrazione forzata con chi a farsi integrare non solo non ci pensa neanche lontanamente, ma i cui presupposti non rientrano neppure nel proprio universo valoriale e simbolico. I terroristi islamici, nella loro follia e fanatismo, hanno già qualcosa in cui credere, non sono minimamente interessati al nostro credo e al nostro modello di società in cui stoltamente li vorremmo integrare. Nella loro percezione di sé, essi si reputano profeti della verità, la loro più grande aspirazione è morire per la verità. Ovviamente non tutti i musulmani sono disposti a martirio e non tutti sono integralisti, ma vale la pena ricordare sempre che per la religione islamica l’abbandono alla volontà di Allah è basilare e questa volontà è una volontà attiva, è un abbandono alla volontà non un abbandono senza volontà: fare la volontà di Allah significa agire e nella sua radicalizzazione questo agire si manifesta con il predominio, con la conquista, con l’affermazione, con la sottomissione degli “infedeli”, dei “crociati”. Già il fatto che nelle loro rivendicazioni i Jihadisti utilizzino un termine – crociati – legato al Medioevo è emblematico. Negare che l’Islam abbia un  carattere “espansivo”, giacché fare la volontà di Allah significa combattere per la sua potenza, è sciocco e pericoloso. E’ una sorprendente sottovalutazione del rischio. La caratteristica principale che differenzia la religione musulmana dalle altre è l’estensione della concezione religiosa alla vita civile: lo Stato e la religione sono un tutt’uno, si congiungono e si compenetrano senza soluzione di continuità.
Cosa vogliamo opporre noi cristiani a questa concezione totalizzante? La nostra cultura? La nostra superiorità morale che ci imporrebbe di “porgere l’altra guancia”, di non rispondere alla violenza con altra violenza? Pensiamo di accettare passivamente e di contrastare con la pietas la loro ferocia?
Per favore.
Lasciamo questi dogmi eccelsiali a chi – per vocazione e per ruolo – lo deve fare: il Pontefice, i vescovi, i sacerdoti. Ma lo Stato laico, i nostri governanti non possono certo ragionare in questi termini.
Ai ciechi sostenitori del buonismo acritico, ai filosofi delle idee universali, ai pacifisti duri e puri, a chi si lava la coscienza con tesi utopistiche,  si oppongono la “coerenza” e la ferrea determinazione degli islamici, per i quali non valgono le nostre regole, la nostra razionalità, la nostra separazione fra terreno e divino, fra temporale e spirituale.
E’ assolutamente ipocrita, retorico e demagogico il petulante e falsamente pietistico richiamo all’integrazione degli immigrati islamici con cui la classe politica al potere,  coadiuvata da pseudo intellettuali al soldo, ha cercato di stordire un’opinione pubblica già di per sè disorientata. L’ostinato “pacifismo” di chi, in una giornata maledetta, con i corpi di vittime innocenti ancora caldi, si ostina a predicare “accoglienza e integrazione” o è un pazzo o è in totale malafede. Mente sapendo di mentire.
Alle sacerdotesse degli immigrati che occupano alte cariche non si sa in virtù di quale merito, agli pseudo intellettuali che si lanciano in analisi sociologiche improvvisate e in tweet fuori luogo, a tutti coloro che per vigliaccheria o, peggio ancora, per moda radical chic terzomondista multiculturalista, fingono di non vedere, di non sapere che nei quartieri di Bruxelles a maggioranza musulmana hanno brindato dopo gli attentati, si suggerisce un saggio che il sociologo tedesco di origine ungherese Karl Mannheim scrisse nel 1929, epoca di grande crisi per l’Europa che stava assistendo al crollo del mito razionalista, ma più che mai attuale: “Ideologia e utopia”. Una mentalità si dice utopica quando è in contraddizione con la realtà presente, quando i suoi contenuti non si possono concretamente realizzare nella società in cui si presentano. Mentre l’utopia persegue un alto fine, persegue il mutamento attraverso un pensiero sovvertitore che, sebbene sia di difficile realizzazione, anela ad un cambiamento, l’ideologia può avere anche un’accezione negativa: è il caso della mentalità ideologica fondata sull’inganno consapevole. Sebbene le ideologie si presentino spesso come giuste aspirazioni, quando poi sono tradotte in pratica, altrettanto spesso il loro significato viene deformato. Nel caso del buonismo radical chic siamo anche in presenza della “mentalità ideologica ipocrita” nel senso che chi la professa ha tutti gli strumenti e le possibilità di accertare che esiste una contraddizione fra le idee e l’attivita concreta, ma nonostante questo persevera per determinati interessi: una menzogna deliberata. Non abbiamo dunque a che fare con una più o meno ingenua forma di autoillusione (utopia) bensì con un intenzionale inganno perpetrato ai danni degli altri.
Ebbene, risulta difficile pensare che la classe dirigente sia così ottusa e incolta da non sapere che non esiste alcun caso di integrazione “pacifica” fra popoli e culture diverse nella storia dell’uomo, se non a prezzo del genocidio o dell’invasione. Negli Stati Uniti d’America, che hanno sia in senso relativo che assoluto la maggiore quantità di immigrati, le varie componenti etniche continuano ad essere separate tra di loro. Pur con diversi gradi e varie sfumature, ciò vale per i poveri pellerossa superstiti – che sono in realtà i veri nativi americani, che hanno subito un vero e proprio  genocidio e che oggi vivono praticamente confinati nelle riserve –  come per i wasps (white-anglosaxon-protestants), per gli africani, gli ispanici, i cinesi, i vietnamiti, i coreani che pur essendosi “integrati”, molto spesso nelle grandi metropoli statunitensi hanno propri quartieri e continuano orgogliosamente a mantenere propri usi e costumi. Anche in Canada, nonostante secoli di convivenza, i francofoni del Quebec chiedono ancora oggi la separazione dagli anglofobi. Nel nostro vecchio continente negli anni si sono protratte rivendicazioni di indipendenza fra irlandesi e inglesi, baschi e spagnoli, fiamminghi e valloni. Impossibile non citare anche i popoli dell’ex URSS, ovvero i georgiani, gli ucraini, i lituani, i russi. Diversi per cultura ma integrati forzatamente prima dallo zar e poi dai dittatori comunisti.  Stesso destino e stesse sanguinose vicende per le popolazioni della ex Jugoslavia. Nella nostra stessa Italia gli altoatesini o sud-tirolesi,  conservano orgogliosamente le loro caratteristiche etniche, rifiutando ogni tipo di assimilazione. Più che “ideali” di integrazione appare chiaro che sarà la battaglia per la proria identità quella decisiva dei prossimi anni in gran parte dei Paesi europei. In particolare in Paesi come la Francia e il Belgio (e in parte anche l’Italia dove ci stanno provando) che sono stati “sottomessi” a un’immigrazione di massa e che oggi si trovano ad affrontare difficoltà crescenti a livello sociale, economico e della sicurezza. Tutto ciò ha dimostrato come il modello multiculturale che vorrebbero imporci  le nostre élite è un sogno che si è totalmente frantumato; ad essere emersa non è la ricchezza delle culture ma la frattura tra le culture.
Per tornare al tema dell’utopia, sarebbe utopistico negare che le migrazioni dei popoli, nel “villaggio globalizzato” che è diventato il nostro mondo, siano inevitabili, con tutte le conseguenze drammatiche che non è difficile prevedere. Ma che almeno ci sia risparmiato il falso ideologico, celato dietro il paravento umanitario, di una “integrazione” possibile a tutti i costi.

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