Silvio Berlusconi riposiziona il “brand” Forza Italia al centro e se stesso di nuovo sotto i riflettori
Silvio Berlusconi riposiziona il “brand” Forza Italia al centro e se stesso di nuovo sotto i riflettori
Chi dava Silvio Berlusconi per spacciato, ostaggio di cerchi magici e cattivi consiglieri o addirittura pronto a ritirarsi dalla scena politica, avrà da ricredersi. E da riflettere. Mai sottovalutarlo, il Cavaliere è un animale politico di rara scaltrezza e riesce sempre a risorgere dalle proprie ceneri. Con l’appoggio alla candidatura del “civico” Alfio Marchini nella competizione elettorale della Capitale e la felice intuizione di schierare il manager Stefano Parisi a Milano è riuscito ancora una volta a rimanere al centro della scena politica italiana, a dettare l’agenda ai media, a metter in difficoltà i competitor e, cosa più importante per lui, a riposizionare Forza Italia là dove è la sua connotazione naturale, dove oggi c’ è un vuoto politico evidente ad alto rischio di fagocitazione renziana: il centro moderato alternativo alla sinistra ma non incline a estremismi di destra. O che perlomeno ritengono tali le posizioni di Salvini e Meloni.
Sono i cosiddetti “elettori dormienti”, un capitale inespresso di voti che va dai delusi per la frammentazione del centrodestra agli astensionisti e che secondo le statistiche ammonterebbero su scala nazionale a qualcosa come nove milioni di elettori. Ovviamente nessuno può dire con certezza se questa massa di elettori accorrerà alle urne fra due anni in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento, anche perché in politica due anni sono un’era geologica; come abbiamo visto schieramenti, alleanze ed equilibri cambiano da un giorno all’altro. In una società “liquida” dove le ideologie sono sempre più labili e le appartenenze politiche sono a geometria variabile, può succedere tutto e il contrario di tutto.
E’ la politica, bellezza. Machiavelli docet, non si scandalizzassero i puristi della coerenza, della parola data e dell’impegno con elettori e candidati sempre pronti a “fare un passo indietro”. Così è.
Anche perché di balletti, ripensamenti, veti incrociati e stop and go in questi mesi a Roma se ne son visti talmente tanti che tacciare Berlusconi di incoerenza sarebbe fuori luogo. Non a caso il leader di Forza Italia lo ha sottolineato nella nota con cui ha annunciato la sua nuova presa di posizione:
“Con il dottor Guido Bertolaso abbiamo deciso di sostenere e fare nostra la candidatura dell’ingegner Alfio Marchini. Non è una scelta nuova. Marchini era stato la nostra prima opzione, ed era caduta per i veti posti da un alleato della coalizione”. Cioè da Giorgia Meloni, visto che il leader della Lega si è sempre mostrato possibilista. L’imprenditore romano, per la cronaca, aveva vinto il sondaggio sul candidato sindaco del centrodestra a Roma svolto dalla Lega con i gazebo di Febbraio.
Si noti poi il linguaggio, nel sottolineare i titoli – dottore, ingegnere – Berlusconi rimarca la sua scelta di fornire a Roma come a Milano una risposta fuori dalle logiche di partito. Ha ribadito di scegliere personalità provenienti dalla cosiddetta società civile, “uomini del fare”, una definizione che il leader di Forza Italia ha sempre riservato anche a se stesso.
Del resto non aveva scelta, e ha scelto la sua sopravvivenza. Che l’accanimento terapeutico su Bertolaso non avrebbe portato i frutti sperati si sapeva già da tempo, già dopo lo strappo di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini. Per non rimanere “schiacciato” anche sul piano dell’immagine dai due giovani leader doveva necessariamente escogitare una via di fuga. Berlusconi a Roma si era incartato, era finito in un cul de sac.
Silvio Berlusconi è troppo orgoglioso, mai avrebbe potuto di nuovo convergere su chi gli aveva voltato le spalle.
Inoltre Alfio Marchini nei sondaggi gode del favore del 10-12% degli elettori a cui si sommano adesso i voti forzisti, ed è sostenuto da pezzi da novanta dell’ex An, come il senatore Andrea Augello e un’area trasversale che va da Ncd a Pierferdinando Casini.
Fermo restando che i sondaggi sono uno strumento di rilevazione degli umori e degli orientamento dell’opinione pubblica e non sono infallibili, in Italia spesso si trasformano in mezzo per manipolare le scelte degli elettori ed in questo senso Marchini è percepito sicuramente più vincente rispetto a Bertolaso e gli elettori, si sa, si accodano ai vincenti. Inoltre ha più appeal, inutile negarlo, ed ha una stampa migliore: è disinvolto e a suo agio in tv, mostra di conoscere le dinamiche dei mass media e sa come trattare con i giornalisti. E soprattutto l’ingegnere romano rappresenta l’idealtipo dell’elettore berlusconiano, molto più della leader di Fratelli d’Italia che adesso dovrà contare i suoi consensi reali. Sia beninteso, Giorgia nella Capitale è apprezzata e può contare su uno zoccolo duro di fedelissimi. La sfida è aperta ma lei, più che Salvini, dovrà dimostrare di reggere. Per due motivi: nella sfida romana il Cavaliere non attaccherà frontalmente il leader leghista – suo alleato a Milano nel sostenere Parisi – e, in secondo luogo non avrebbe motivo di farlo in una città dove il movimento Lega – Noi con Salvini è ancora poco incisivo.
Berlusconi ha semplicemente fatto quello che fece nel lontano 1994, una doppia alleanza al nord con la Lega e al centro sud con l’allora Alleanza Nazionale. Oggi però ai reduci dell’ex partito di destra riunitosi in parte sotto l’ala di Fratelli d’Italia, ha preferito un candidato civico più “moderato”, estraneo alla dicotomia destra/sinistra.
Con la scelta, seppur tardiva, di Marchini e del manager Stefano Parisi è questa la collocazione neo liberale che Berlusconi ha voluto dare al “brand” Forza Italia, che, causa emorragia di consensi a favore della Lega, aveva perso la sua connotazione originaria. Lo stesso candidato a sindaco di Milano in una recente intervista ha dichiarato: “Berlusconi ha saputo essere un leader moderato, il centrodestra può vincere solo con un leader capace di convincere i moderati. Salvini? Abbiamo un accordo chiaro: io devo risolvere i problemi di Milano, non esasperare i toni”.
In effetti nella campagna elettorale milanese il leader del Carroccio almeno per il momento sta mantenendo un profilo basso, pur non essendo esente il capoluogo lombardo da problematiche molto “sentite” dalla Lega quali la sicurezza, le occupazioni abusive, l’immigrazione incontrollata e in generale una gestione Pisapia che certo non ha brillato. Anche per la manifesta vicinanza ai centri sociali. Non a caso non è stato ricandidato per un secondo mandato e la sua “eredità” scomoda in parte sta pensando sul candidato del centrosinistra Giuseppe Sala: Parisi nel corso della settimane sta recuperando terreno e ad oggi i sondaggi li danno in sostanziale pareggio.
Milano rappresenta dunque un banco di prova importante per Salvini, che scende in campo come capolista della Lega Nord nella corsa a Palazzo Marino: dovrà dimostrare di prendere più voti di Forza Italia, decretando la prima vera sconfitta sul campo di Berlusconi.
E’ chiaro che nelle due più importanti città italiane in questa tornata amministrativa si giocano due partite non solo contingenti ma di ben altra portata, saranno un indicatore per i futuri assetti politici su scala nazionale: ci diranno in che direzione vanno gli elettori non renziani, se si schiereranno con Silvio Berlusconi insediato nell’area del civismo moderato o con il progetto neo-lepenista di Lega e Fratelli d’ Italia.