D ove te ne stai andando, Buttafuoco? «In Sicilia». Palermo, Catania, Enna e poi avanti così per tutta l’estate, di città in città, ramingo, viandante, vociante, con questa idea di sfidarli uno a uno i malandrini, i tarocchi, i pupi, i pupari, i mastrodongesualdi di questa buttanissima isola. Buttanissima come Buttanissima Sicilia, come questo pamphlet pubblicato da Bompiani con la copertina giallo sole che però sa di terra bruciata. Pietrangelo Buttafuoco non è un crociato. Non gli si addice. Non punta l’indice. Non sparge fede. No, questa che sta facendo sul serio, resistendo alla tentazione del disicanto, è come la chiama lui una «campagna lettorale». Campagna politica senza clientes ma con i lettori. Campagna culturale senza compagnie di giro. Meglio. Come uno che distende la sua ombra lunga lunga a mezzogiorno. Come un donchisciotte che armato d’utopia dice ai siciliani che quelli che vedono sono davvero mulini a vento. Come Orlando, furioso, che va lui questa volta a riprendere sulla luna il senno perduto dagli altri. Perché la Sicilia è una trappola. E questa Sicilia, questa di Crocetta, non fa eccezione. È un’illusione. È come il castello del mago Atlante.
Perché è questo l’inganno che Buttafuoco deve svelare. Crocetta non è la redenzione della Sicilia. Non è la nuova stagione dopo il democristianume di Cuffaro e Lombardo. È la stessa Sicilia, con gli stessi voti, le stesse facce, gli antichi vizi, solo incantati. E l’incantatore è Crocetta. L’uomo dell’antimafia, l’uomo della primavera, l’uomo del risorgimento siciliano. E siccome la Sicilia è sotto incantesimo ti viene perfino negato il diritto di critica, di denuncia. «Se c’è un problema, Crocetta lo criminalizza. Non c’è spazio se non per le sue parole. È come Pirgopolinice, il miles gloriosus fanfarone e vanaglorioso di Plauto». Che accade a chi sfida l’illusionista spaccone? A chi per esempio viene voglia di dire che il mago è nudo e che ha fatto fuori un’assessore per piazzare su quella stessa poltrona la sua segretaria? «Accade che si ritrova precipitato in tre stadi di dannazione. Omofobo, mafioso o sovversivo». Sono gli scudi con cui Crocetta si assicura l’omertà. Omofobo perché metaomosessuale, ossia finocchio represso che odia i gay. Mafioso perché miscredente alla religione dell’antimafia. Sovversivo perché se pensi che l’autonomia nata dal primo trattato Stato mafia sia il cancro di quella terra allora calpesti la sacra costituzione repubblicana. A terra, in tutto questo, resta la Sicilia come e sempre è stata. Quella dello Stato-Regione dispensatore di privilegi e prebende agli amici degli amici, quella della formazione come multinazionale della truffa, quella che ha ripudiato la sua bellezza per trasformarla in miseria. «Perché il paradosso è che sia Rimini la capitale del turismo e non Marzamemi». Ma la Sicilia si è prostituita. E allora è qui che Buttafuoco racconta la storia dell’imprenditore del Nord che va a Kyoto e scopre che laggiù in Giappone un’arancia costa 12 euro. E allora da uomo d’impresa si preoccupa di stabilire una rotta commerciale settimanale verso l’Oriente, basta trovare le arance. Dove se non in Sicilia? Ma in Sicilia si fa prima a distruggerle, le arance.
Il destino della Sicilia è chiuso nella stazione ferroviaria di Palermo. «Si entra e ci si dirige verso l’atrio. Si consultano i tabelloni con gli orari e le destinazioni, ma nessuno staziona alla stazione di Palermo per prendere il treno. A fianco della strada ferrata, dentro il recinto delle Ferrovie dello Stato, c’è il piazzale interno con gli autobus. Non ha senso, infatti, prendere il treno per Siracusa. Impiegherebbe almeno otto ore. E qualcosa come cinque e mezzo – di ore – ce ne vogliono per arrivare a Catania. Un percorso ferroviario in Sicilia – da Trapani a Taormina, ad esempio – dura quanto la Transiberiana».