Il cielo sta cadendo a pezzi. Diana lo sa. È questione di pelle, d’istinto, qualcosa che viene dalla terra, dal fiuto, dalla memoria, dai secoli. È un attimo. Il soffitto sospira. La donna, la padrona, sta per entrare nella stanza. Diana sa, Diana corre, Diana salta e abbaia. La padrona pensa: è impazzita. E poi si ritrova per terra, davanti alla porta, mentre il soffitto precipita, come un terremoto. Diana è un cane ed ha appena salvato la vita alla sua padrona. Ed è una bella storia da raccontare sotto la neve, ma non è la prima e non sarà l’ultima. Non è un miracolo. È quel potere che hanno i cani di riconoscere, in un istante, dove tira il vento. È qualcosa che va oltre l’umano ed è così vicino. Lo senti la sera quando torni a casa e lei è lì, meravigliosa nuvola di pelo latte e miele, che dorme, quasi russando. Lei ti sente prima, prima di ogni tuo passo, prima della chiave che gira nella porta. E ogni volta che torni, ogni maledetta sera, lei ti aspetta, ti annusa, ti guarda con lo sguardo di chi, da sempre, aspettava il tuo ritorno. Ecco, se c’è qualcosa di assoluto in questa vita, è l’amore di un cane che riconosce il suo padrone. Come una madre, ma senza spiegazioni. Chiedetelo a Ulisse. È lui che torna a Itaca, come un barbone, un furfante, un mascalzone. Gli dei, e vent’anni di guerre e peregrinazioni, lo hanno reso irriconoscibile. L’isola petrosa non sa più chi sia il suo re. Non lo sanno i servi e i pastori. Non lo sa la moglie che tesse e disfa la tela. Non lo sanno i principi che insidiano il trono e la sposa. Ulisse inganna, tutti. Tranne Argo e la nutrice. Argo con il terzo occhio dei cani. La nutrice seguendo il profilo di una vecchia cicatrice. Tutti e due con quello strano mistero che lega la terra al cielo, che permette agli uomini di riconoscere i propri santi e agli animali di sentire l’anima della natura, l’indefinibile. Tutto quello che la nostra mente lascia oltre l’ultimo orizzonte. Quello che per Wittgenstein non ha mai avuto parole, perché non ci sono verbi e sostantivi per definire ciò che non si può conoscere. Hai visto il tuo cane abbaiare senza ragione a qualche ospite. Lo hai capito dopo: aveva ragione lei, che è femmina, e conosce l’animo umano molto meglio di te. L’unica verità che ha capito in questi anni è che lei non si sbaglia. Lei fiuta. Tu no. Ragioni. Ed è questo il tuo peccato. La ragione è un’astrazione. È il tentativo di mettere tutte le cose al proprio posto. Trovare una trama, un senso. Rassegnati. Lei, che è femmina, conosce il finale. Tu solo i frammenti. I cani non conoscono la retorica. Loro semplicemente fanno. Non serve altro. Tu non sai perché il tuo cane qualche volta s’impunta e non lo smuovi più. Diventa pietra. Tu tiri, lui è un blocco di cemento armato. E nei suoi occhi c’è una determinazione che non accetta compromessi. Non sente spiegazioni. Tu non sai perché fa così, non lo hai mai capito. Ma con il tempo qualcosa ti è chiaro. Ti conviene fidarti. Come lui si fida di te. È tutto qui, in fondo. È fiducia. È l’amore che non ti chiede ragioni. C’è. Lo vivi, lo senti. Non ha incertezze. Non ha paure. È quel legame che ti fa riconciliare con la parte più antica di te. E accetti tutto. Quello che ti frega è lo sguardo. Non guardate mai negli occhi un cane, potreste vedere la vostra resa senza condizioni, specchiarvi nella parte che avete, da uomini disillusi, cercato in ogni modo di cancellare. Scompare tutto il cinismo che avete respirato, vanno via le cicatrici, i ricordi, i tempi cattivi, l’ambizione. Va via la stanchezza, il malumore, la pioggia, invidie e gelosie. È come sdraiarsi per terra. Un cane non lo direbbe mai, ma forse è proprio questo l’antidoto contro ogni forma di nichilismo. E costa solo un piatto, al giorno, di croccantini.