Rosa Capuozzo, sindaco di Quarto, forse ancora non lo sa, ma chi sta bussando alla porta, chi chiede la sua testa, è una vecchia maschera del terrore. Non importa se indossa la voglia di rivalsa del Pd o l’imbarazzo giustizialista del suo stesso movimento a cinque stelle. È sempre lui. Non conta se in questa storia di voti camorristici sia più vittima che colpevole. Non vale che non sia neppure indagata. È ancora lui. È lui che punta l’indice. È lui che urla più forte. È lui che ti sbatte alla gogna e intanto prepara la ghigliottina. È Père Duchesne , con i suoi baffoni colorati di tabacco e vino, le bestemmie e i malumori e quella sete di giustizia che nasconde frustrazione, arrivismo e la voglia di popolarità che cancella ogni sentimento di pietà o tolleranza.
I francesi se lo ricordano bene Père Duchesne, è un personaggio del théâtre de la foire, protagonista delle fiere settecentesche, perennemente incacchiato, con canzoni smargiasse e un po’ volgari, un guitto rancoroso, che si spaccia per voce del popolo, sempre intento a denunciare abusi e ingiustizie. Non ha il disincanto e l’arguzia romanesca e anarchica di Pasquino. È, in poche parole, giustizialista.
Questa maschera durante gli anni della rivoluzione diventa il simbolo dei sanculotti. È la testata di diversi fogli urlati e urlanti, venduti nei mercati e tra la folla, dove per farsi sentire bisogna ogni giorno gridare più forte e caricare la virulenza delle accuse. Il Père Duchesne più famoso, in grado di cancellare omonimi, concorrenti e imitazioni, è quello fondato e diretto da Jacques-René Hébert, il leader degli arrabbiati. La Bastiglia è stata presa, ma tra i rivoluzionari c’è sempre qualcuno più uguale e più puro degli altri. Non si va nei club per disegnare un futuro, ma per conquistare la scena. I giacobini nascono moderati, basta ricordare il meraviglioso discorso di Robespierre contro la pena di morte: «Provate a immaginarvi il più perfetto ordinamento giudiziario; provate a trovare i giudici più onesti e più illuminati, resterà sempre un margine di errore. Perché togliervi la possibilità di ripararlo?». Poi capirono che con la tolleranza non si va in «televisione» e cominciarono a tagliare le teste. I meno puri e moderati si inventarono foglianti, con l’eroe La Fayette alla guida, i più spietati si battezzarono Cordiglieri, rubando il nome alla corda stretta alla cintura dei francescani. I primi leader furono Danton e Marat, poi a colpi di Pére Duchesne la scena se la prese proprio lui, lo scribacchino Hébert. Quando uno ha un giornale come il suo, che con un solo post può cambiare il destino di una persona, è facile sentirsi onnipotenti. Hébert indicava ogni giorno il capro espiatorio da scannare, così se il proprio nome finiva sulle pagine del Père DuchesneLepereduchesne il giorno dopo ti ritrovavi sulla strada che porta alla ghigliottina, senza processo, ma con un’invettiva che ti marchiava come nemico della rivoluzione. Una macchina del sangue.
Hébert è soprattutto un uomo di potere, uno che divide i vivi e i morti e regola i conti con compagni di viaggio e avversari politici. Robespierre lo lascia fare per troncare la testa di Danton e pazienza se l’incorruttibile Maximilian sacrifica la vita dell’uno suo vero amico, Camille Desmoulins. Poi toccherà allo stesso Hébert e poi siccome la rivoluzione mangia i suoi figli salta pure Robespierre. Solo Pére Duchesne non passa mai, questa maschera di livore che adesso è arrivata fino a Quarto.