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Con il dolente appropinquarsi della decrepitudine, sto diventando sempre più tollerante. Per cui non è con sdegnata intransigenza o epidermico fastidio che mi sento di offrire questo suggerimento, piuttosto per un’elementare questione di salute pubblica e pubblico decoro. Come già ammonivo in sede istituzionale lo scorso anno, il comune di Milano dovrebbe vietare la pratica del jogging all’aperto nei giorni in cui la temperatura supera i 30 gradi Celsius. Se proprio non si vuole dar retta al sottoscritto, che si ascoltino almeno i giudiziosi avvertimenti delle inviate di Studio Aperto! Oggi pomeriggio ero seduto nella radura di Parco Sempione a leggere una refrigerante edizione di Arbiter… quando sono stato testimone di esibizioni raccapriccianti, andate in scena sotto l’assillo della canicola, a pochi metri dalla mia ombreggiata panchina, rinvenute allegoricamente dalla corsa all’oro nell’Antelope Valley. Liberi cittadini di questa metropoli che a vantaggio del proprio stesso benessere si trascinavano agonizzanti e trasfigurati dalla ghiaia cocente all’asfalto arroventato.

 

Il più conciato del manipolo, un signore sui 60 con la sindrome di Dorando Pietri, tragicamente inciampava nelle sue stesse caviglie, aiutato a rialzarsi da quei cingalesi con i ragni che si appiccicano; ragazze, anche graziose, con il respiro più pesante di una peperonata al baccalà e sudate come scaricatori di banane barbadiani; amici di fatiche che cercavano invano di conversare durante la marcia, emettendo solo vocalizzazioni da babbuini della Guinea… e tanti altri performer della tribolazione aerobica.

 

Mentre guardo il tutto con acuto supplizio, trovo comprensione interculturale nei perdigiorno centroamericani soliti dormir la siesta sull’erba più fresca dei giardini, che rimirano lo spettacolo come da sotto un sombrero, sussurrando un congruo: «hombre, estos joggers éstan locos!». In questa passerella di derelitti, lancinante è un Rosso Malpelo di mezza età con fascia di spugna alla Brian Scalabrine, dal volto più paonazzo dei capelli, che mentre procede a passo da patibolo si percuote un’anca con il pugno; la sua immagine, confesso, era per me come il colpo dello sperone che il cavaliere arabo infligge nel fianco del suo cavallo per fargli attraversare il deserto. La disperata fuga dal collasso in cui tutti sono impegnati sembra infine legittimarli a scaracchiare verso il prossimo quel poco di immortale che vi era nelle loro anime.

 

 

Sfiancato da una rappresentazione tanto straziante decido di tornare verso casa e rifletto su quanto la stolida ossessione per la performance, di rara e scimunita futilità, ci abbia depredato persino del piacere di una semplice sgambata. Uscito dal cancello principale mi ritengo al sicuro, quando intercetto un tizio rantolare sul selciato di Piazza Sempione; vestito alla Patrick de Gayardon, impegnato a controllare nel dettaglio il cardiofrequenzimetro o forse il TMG contro i detriti orbitali, l’avveniristico podista finisce dritto per dritto come una badilata di malta nel tamburo di una piccola betoniera da cantiere, sfortunatamente non in fase di rullaggio per la pausa domenicale. Sono vicino a chiamare un’ambulanza quando l’ammaccatissimo corridore si riprende e, ancora per metà dall’interno della macchina edile con sedere inghiottito e gambe a dondolo come sul sediolone Foppapedretti, decide di scattarsi un selfie. #benessere#mensanaincorporesano#workoutinprogress

 

 

 

 

 

 

 

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