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La falsa coscienza è nuda. La messinscena collettiva ha perfezionato l’olocausto della buona fede e della ragione nell’episodio di Anna Frank e i tifosi laziali. Sdegno, accusa, condanna; gesto disumano, ottusa crudeltà, oltraggio. Queste, in sintesi, le reazioni delle istituzioni e dell’intellighenzia di regime. Reazioni che calano le brache al totalitarismo della simulazione. Servirsi di “ebreo” come ingiuria è efficace soltanto se il bersaglio riconosce l’ingiuria come tale. Ora, se mi danno dell’ebreo, non mi sento ingiuriato. Forse perché non ritengo la condizione di un ebreo inferiore alla mia. Sentirsi oltraggiati, per un oltraggio inesistente, legittima, invera, l’intenzione oltraggiosa. Portare a scuola degli analfabeti è benemerito, ma l’antisemitismo non si sconfigge sensibilizzando il becero e il cretino; bensì dimostrandosi insensibili ai loro argomenti. La mia ragazza, che in genere è più intelligente e prudente di me (chiedo scusa per il sessismo), mi domanda: «Ma se utilizzassero il nome di quella santa donna di tua madre come sinonimo di femmina dagli estroversi costumi, non ti sentiresti forse offeso? Non sentiresti svillaneggiata la sua memoria?». Così ho riflettuto qualche secondo. E la risposta è no. Nulla che si serva del nome, dell’immagine di una santa donna per offendere può essere offensivo. Nulla che rimandi ad Anna Frank può essere percepito come disonorante. Percepirlo come tale, sentirsi insultati, quello sì è disonorare Anna Frank.

 

 

 

E alla fine della rieducazione coatta, dello shampoo purificatore, che cosa avranno maturato le scimmiette laziali da questa vicenda? Avranno compreso con certezza che la loro vuota provocazione ha colto nel segno. Che ebreo dev’essere davvero un’ingiuria. E che accostare il nome di Anna Frank a qualcuno o qualcosa è socialmente percepito come oltraggioso. L’antisemitismo ha vinto. Perché involontariamente ma significativamente riaffermato da chi esibisce l’intenzione di annientarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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