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L’implacabile attualità, che mette il collare di ferro agli eretici Weinstein e Spacey, mi costringe a tornare sulla questione relativa all’identità dei sessi. L’uomo rapace, etero o gay, oggi rappresenta il nemico pubblico numero uno. Il mostro da prima pagina. E sia. Lungi da me difendere le prevaricazioni e gli abusi, specie quando sono uno stile di vita. Ma il corsivista (blogger no, vi prego) ha il dovere di mettere i fatti in prospettiva e con l’orecchio sui binari anticipare l’arrivo del treno, lasciando spazio a una fantasia eccitata e non placata, una traccia di desiderio, il compiacimento di essere stati insieme oggetti e complici di una burla, come scriveva Manganelli. Così, rileggendo i miei diari, ho trovato un primo segnale di ciò che stava arrivando sul binario 1 da una lontana puntata di un programma televisivo. Appuntavo così in data 3 marzo 2016:

«Sul palcoscenico della farsa atellana che è la nostra quotidianità, l’avvicendarsi delle maschere passa dal tragico al comico con derisoria rapidità. Ieri a far la parte del villico cavese il povero Vissani, vittima sacrificale della violenta misandria dello studio di Tagadà. Ricostruiamo. Il ruspante e corpulento chef ha avuto l’ardire di affermare come alcune giovani italiane, anche minorenni, facciano un po’ le stupide con gli uomini. Magari ammiccando, magari sigandoli, magari proponendosi con atteggiamenti più boccacceschi che fanciulleschi, osando mise da pornololite e avance colorite. Non l’avesse mai detto! Il gineceo dello studio lo ha subito aggredito dando a lui e a tutti noi degli “imbecilli”, fra le ovazioni del pubblico, con un’agguerrita Tiziana Panella a far da fustigatrice. Di per sé la cosa non scandalizza più di tanto: in effetti, un uomo di quel tipo che si dovesse far cucinare da una sbarbina fubbina… è un imbecille. Lasciano però allibiti questo odio, questo accanimento, pubblicamente tollerati verso il maschio godereccio e un po’ minchione, quando nella realtà i commenti femminili di fronte a una ventenne che facesse la provocante con marito o compagno sarebbero stati più verosimilmente: «Lurida rizzacazzi, stai lontana dal mio uomo altrimenti ti prendo a randellate con il vibratore anale che tieni in quella borsetta da centro commerciale!”».

 

 

 

A distanza di parecchi mesi, registriamo che fra le categorie protette – donne, neri, ebrei, immigrati, omosessuali, finanzieri etc. – ancora non ci sono i maschi goderecci e un po’ minchioni. Anzi. I loro campioni degenerati sono gli orchi che più fanno paura. Ma se Weinstein e Spacey, a differenza di Vissani, rappresentano l’élite pettinata di una bestialità dalla fame sessuale atavica, e lo zingaro stupratore di Roma il suo equivalente calato nella marginalità più brutale, nelle gazzette della propaganda perbenino la virilità rapinosa è ormai ufficialmente una piaga globale. Lo è davvero? Non saprei. Ciò che invece posso intercettare con precisione è la volontà, attraverso questa infowar, di livellare sempre più i comportamenti seduttivi, verso una completa amministrazione. Ciò che posso profetizzare, con auspici di attendibilità, è l’effetto che si otterrà allertando e allarmando in tal senso le moltitudini: una completa fusione a freddo fra i due sessi, dove diluire definitivamente le intemperanze di ciascuno: la donna nelle sue equivoche ritrosie, l’uomo nei suoi appetiti sfrenati. Così da realizzare un unico prodotto, perfettamente catalogato, a cui vendere merci esistenzialmente essenziali. Si dirà che viviamo in una società individualistica in cui ognuno è libero di far quel che vuole anche contro il pensiero autorizzato. Ma in realtà l’individualismo astratto si ribalta quasi sempre nel conformismo collettivo. La proprietà di prolungarsi dall’esterno nell’interno è costitutiva di tutti i controlli sociali, di tutti i meccanismi di censura; basta essere costretti abbastanza a lungo a non pensare a determinate cose o anche soltanto a non dirle, e si svilupperà la tendenza a esercitare in se stessi una censura che non è affatto diversa da quella a cui si ubbidisce protestando. Presto per il terrore di molestare o di passar per molestatori, smetteremo di corteggiare.

 

 

 

Qualche tempo fa il Corriere della Sera ci offriva un articolo sulla moda uomo meneghina, dedicata ai male models: «Belli, anzi bellissimi: ecco i modelli che hanno lasciato il segno a Milano». Già il titolo lasciava intuire come la giornalista dovesse aver passato anni di prigionia in Boulevard Haussmann fra pareti foderate di sughero come Marcel Proust per ascendere verso tali vette estetico-letterarie, ma è il resto che mortificava la nostra già derelitta mascolinità. Due coglioni in mutande che esibivano facce truci per un selfie e stringevano gli addominali depilati fatti a macchina. Questo il “modello” di uomo per le future generazioni. E se non fosse bastata l’immagine, contro la quale neppure sei mesi di seminari su Bogart o Connery sarebbero sufficienti per riprendersi, arrivava il virgolettato del campione: «Il mio segreto? Uso chili di crema idratante». Frase capace di incenerire la libido anche su pianeti extrasolari.

 

 

 

 

Fino a pochi anni or sono ero convinto che le femmine avessero una sorta di istinto infallibile verso il maschio, che distinguessero istantaneamente un eterosessuale da un omosessuale, un dongiovanni da un casanova, un lesso da un ganzo, un uomo onesto da uno juventino. Invece ho realizzato che brancolano comicamente nel buio. Ragazze che ritengono ingenuamente etero i propri fidanzati depilati e impomatati solo perché fanno i pesi in palestra o hanno il tatuaggio di una tigre del Bengala; le stesse che magari bollano come gay chi tiene i gomiti stretti a tavola o indossa i gemelli; e che poi ci rimangono male se non vengono un po’ sculacciate. Il rapido sgretolarsi della civiltà testosteronica ha prodotto spaesamento, ha creato un vuoto di riferimenti, cui talvolta si reagisce innalzando il totem della donna amazzone, che ti prende per il pacco, ti trascina a casa e dopo aver fatto il comodo suo a briglia sciolta, si accende il tabacco e ti bestemmia a casa. Fra questi estremi, che nella cifra simbolica rappresentano le scosse di assestamento di un nuovo equilibrio, il sesso di mezzo. Il sesso del futuro. Un prodotto sociale certificato, che si vanterà di un’età imprecisata, di sentirsi un po’ gay e un po’ etero, di non essere maschio né femmina, ma di essere semplicemente umano. E che di umano non avrà più molto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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