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Per una volta vi pregherei di resistere alla maliosa melodia del mio dettato e di visualizzare il link in calce; dopo averlo fatto, allora – ma solo allora – procedete con la sollazzevole lettura dell’articolo. Approfittatene finché è gratuito, perché da luglio il Parlamento europeo potrebbe ratificare una tassa sui link e forse passare disinvoltamente alla censura preventiva! Oppure fate come cazzo vi pare, perché qui siamo democratici autentici. Nell’orgogliosa ritrosia di Paolo Savona innanzi all’incedere del sinistro lacchè – untuoso, capzioso, insinuante, inverminito – vi è tutta la saldezza della verità. Savona ha soltanto sbagliato il riferimento finale. Paragonandosi ad Ulisse, infatti, ha sovrastimato il proprio sacrificio. Alessandro De Angelis non è figlio della musa Calliope e ha una voce che non produce incanto alcuno: il suo rotacismo, al contrario, striscia fastidiosamente all’orecchio dell’uomo dabbene, cui sopravviene istintivo desiderio di sbarazzarsene. Certamente c’è chi dirà che il neo ministro per gli affari europei ha sgarrato, che la malafede va confutata colpo su colpo, irridendone nel dettaglio la tamarra contraffazione, le infide estrapolazioni, le mal calcolate manomissioni, le grossolane alterazioni; ma per questo ci siamo noi. Un venerabile professore come lui ha il privilegio di poter sbuffar via con alito leonino queste trappole congegnate da criceti. Nondimeno, la citazione accademica più precisa per commentare la propria reticenza nei riguardi dei valletti dell’odierna ideologia – che rinominerei Agit-Pop – è quella di Schopenhauer: «Di fronte ai giornalisti di Repubblica, de L’Espresso, dell’Huffington Post, esiste un solo modo per rivelare la propria intelligenza: quello di non parlare con loro».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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