Commissario per il Web
Non saprei dirvi quante volte ho iniziato questo pezzo. Forse una trentina negli ultimi 15 mesi. Ma ho sempre desistito… perché il mostro che abbiamo di fronte ha tante teste: scapezzata una, ne spunta un’altra. Prima di ingegnarci nel rispondere, è necessario porsi le domanda corrette, impresa già sufficientemente impegnativa. Ma questa volta vorrei tentare. E’ legittimo regolamentare il Web dinamico? Se sì, è possibile senza mutilare la libertà di espressione? E se ancora sì, chi stabilirebbe le regole? Pone seram, cohibe, sed quis custodiet ipsos custodes? Ovviamente avverto, come tutti voi, la deriva della deregolamentazione. Tutti hanno in mano lo stesso mezzo, potente, patentati e non. Tutti possono colpire tutti. Con immediatezza e, nella prassi, senza sanzioni. Naturalmente la diffamazione è sanzionabile anche se esercitata da piattaforme informatiche, ma il magma diffamatorio è tale che sarebbe ridicolo mettersi a respingerlo con la paletta. E non serve aver letto Baricco per comprenderlo. Immaginate se Salvini dovesse querelare ogni singolo diffamatore! Io stesso, pur essendo moderatore di una comunità virtuale evoluta e avendo inoltre potere d’interdizione, mi trovo talvolta impossibilitato a disinnescare le deflagrazioni dell’opinione.
In generale, sul Web il senso di impunità genera un’interazione gravitazionale che trascina verso il basso, in un agone purulento. Da una prospettiva più strettamente settoriale, poi, oggi la mia ponderata valutazione di professionista conta meno di quella che manifesta una “influencer” hongkonghese mentre si affresca le unghie. Circostanza resa possibile proprio da una realtà virtuale ma tangibile, dove tutto si conta e niente si pesa, per cui ciò che ha prezzo è il potere coagulante; se di cretini, se di oche, non importa. Like, follower, visualizzazioni a centinaia di migliaia, pagano; 100 apprezzamenti mirati e intelligenti contano nulla. Purtuttavia, amici, ogniqualvolta in uno spazio virtuale dei cretini intervengono dandovi dei cretini, creando uno stallo alla messicana di cui voi solo siete consapevoli, è necessario pensare all’alternativa.
In questa sede non intendo occuparmi della direttiva sul Copyright e al piano Ottinger/Voss votato dalla Commissione Affari Legali del Parlamento europeo e poi respinta il 4 luglio dal Parlamento europeo stesso; quanto riflettere più in generale sulle regole di ingaggio nella convivenza digitale. L’avvicendamento al liberi tutti vigente è infatti la norma, il precetto, la regolamentazione. L’alternativa sarebbe dunque (sarà?) l’ammaestramento. Che in regime di politicamente corretto rischierebbe di essere la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi del capitale internazionale. Visualizzate un mondo in cui i Carofiglio o le Gualmini o i Moscovici della situazione siano investiti del compito di stabilire che cosa potete liberamente asserire e come. Rappresentatevi un commissario per il Web. Oppure, in sua assenza, figuratevi sorveglianza e controlli automatizzati. Sperimenterete un’allucinazione ipnagogica. E immaginate gli odierni rivolgimenti in assenza di Internet, rivelati dalla sola stampa certificata: «Miracolo a Parigi. E’ primo al ballottaggio il candidato che esprime un’alternativa radicale all’onda sovranista che doveva travolgere tutto l’Occidente»; «Macron e il messaggio dei mercati, date una chance all’Europa!»; «Non illudiamoci di aver trovato un alleato, l’Europa ripartirà dall’asse franco-tedesco. A noi spetta trovare il modo per agganciarci a questo vagone, senza frottole e con qualche sacrificio»; «Manovra del popolo: i mercati non si fidano neanche di Tria. Il popolo che farà?». Senza il Web, queste parole di Massimo Giannini sarebbero state prese a pernacchie d’ascella fra una fetta di culaccia e un bicchiere di Gutturnio; oggi, con la forza di aggregazione che i social garantiscono, il popolo ha i mezzi per organizzarsi, magari indossando gilet gialli… e poi? Che farà? Niente di sconsiderato, ci auguriamo. Perché potrebbe covare l’uzzolo di andare a prendere per le orecchie quelli come Giannini, cui suggerirei di non fare tanto i fenomeni; sotto questi chiari di luna le élite di propaganda hanno le brache a ciondoloni e laggènte cià la pazienza a ceppa de cazzo.
Come avevo già avuto modo di scrivere in tempi meno infiammabili, non esiste procedura d’infrazione che valga quanto la decisione degli autotrasportatori di fermarsi. L’Albo nazionale dei camionisti ha in mano una verga ben più impositiva di quella minchia fritta dello spread. Dietro il grande bluff delle sanzioni, dei diktat, dell’abbaiare che non morde dei cani apatridi, si certifica come i camionisti possano spostare più dei commissari e magari pure dei Mercati. Per questo il “populismo” fa così paura, perché se il risentimento diffuso è il combustibile, con il web a dare ossigeno, a fare da comburente, una scintilla di coscienza collettiva può essere sufficiente come fonte d’innesco per far saltare tutto. E la Francia potrebbe fornircene prova in tempi rapidi.
Tornando alla scena italiana, senza i blog e i social network il Movimento 5 Stelle, con tutte le sue fallacie, non sarebbe stato possibile; e plausibilmente avremmo in carica un governo di competenti, di presentabili, di accoglienti, di democratici. Questo stesso spazio non ci sarebbe. Ma con il feroce livellamento e la virulenta “popolarizzazione” del reale che Internet ha diffuso, un Roberto Fico può diventare terza carica dello Stato. E allora? Che cosa possiamo sapere? Che cosa dobbiamo fare? Che cosa ci è lecito sperare? Io non ho trovato risposte pienamente esatte. O anche solo esaurienti. Per questo vorrei cercarle con voi. Vanto solo una certezza: dove ci sarà libertà, fosse anche la libertà del caos, le intelligenze avranno sempre la possibilità di riconoscersi fra loro e affratellarsi.